[Storia delle Cese n.92]
da Osvaldo Cipollone, Mario Di Domenico, Roberto Cipollone
Dopo il crollo della chiesa monumentale con il sisma del 1915, in paese venne costruito un nuovo edificio di culto dedicato al compatrono San Vincenzo e agli altri santi protettori del paese. La scritta incisa sulla facciata recita infatti “Vincentio Ferrerio ceterisque caesarum SS. Patronis”. Sul perché la scelta sia caduta proprio su San Vincenzo Ferreri, eletto nominalmente come primo dei Santi protettori di Cese, si sono fatte diverse ipotesi; nelle relazioni vescovili più antiche, tuttavia, non emerge traccia di cappelle o altari dedicati a San Vincenzo nell’antica chiesa di Cese[1]. Si conoscono invece due canti religiosi dedicati proprio al Santo patrono. Nel periodo immediatamente successivo al terremoto, era stata adibita al culto una baracca di legno situata nella stessa zona; tale costruzione, però, con il tempo era diventata assolutamente precaria e inadatta alle celebrazioni, al punto che nel 1925 si decise di edificare la chiesa in muratura che ancora oggi conosciamo.
La consacrazione nel 1925
Si legge in un bollettino parrocchiale del 1925, sotto il titoletto “VOCI IN FAMIGLIA”: “LA NUOVA CHIESA dedicata a S. Vincenzo Ferreri, incominciata sullo scorcio di Marzo di quest’anno, ai primi di Novembre venne terminata: per tutta grazia di Dio; per la religiosa, generosa ed ammirabile contribuzione dei figli degni di Cese; per la ferma e saggia opera degli organizzatori. E nella domenica 9 Novembre p.p. fu solennemente benedetta da S.E. Rev.ma Mons. Pio Marcello Bagnoli, nostro amatissimo Vescovo”. Dunque la data di inaugurazione della chiesa dedicata a San Vincenzo è il 9 novembre 1925.
Già nel giugno del 1925, il parroco don Vittorio Braccioni annunciava la conclusione della prima parte dei lavori, ancora incompleti. Scriveva infatti nel bollettino parrocchiale di quel mese: “W la Nuova Chiesa W gli Organizzatori W i Collaboratori W Cese. E poi ci vengono a dire con tanto di prosopopea che la Basilica di S. Pietro a Roma è costata ben 100 anni di lavoro. Noi, in poco più di un mese, abbiamo costruita la nostra che è lunga 30 metri, larga 8, alta 5. Ha 8 finestre, 8 nicchie, 3 porte e circa 500 tegole. Ciò sta a significare, con parole povere, che col tempo impiegato da questi poveracci attorno a S. Pietro, noi avremmo saputo costruire per lo meno 600 chiese. E non diciamo altro, per modestia. Eh! Se quei furbi lumaconi (c’intendiamo noi) avessero il coraggio civile di fare il loro dovere in fatto di costruzioni vedrebbero se da parte nostra sapremmo fare il nostro! Accidenti a Mercurio! W Cese un’altra volta!”.
Il contributo dei fedeli e degli emigrati
In poco tempo, dunque, la chiesetta – ad una navata e con il tetto in legno – fu tirata su con il contributo ed il lavoro manuale delle persone di Cese. Nei bollettini di giugno e settembre 1925 il parroco sottolineava anche il contributo in denaro pervenuto dai compaesani emigrati all’estero, i quali, da quanto risulta, finanziarono in maniera decisiva la ricostruzione della chiesa stessa.
“Una parola ai Cesani d’America. A parte gli scherzi ed i bollori dell’articolista, vengo a confermarvi la notizia ch’egli ha razziata così stranamente. Sicuro, la Chiesa è terminata nelle sue parti essenziali, ma non è finita; vale a dire che manca ancora del pavimento e dell’intonacatura interna ed esterna. Non vi sto a dire quante difficoltà si siano dovute superare per condurla a tal punto, ma esse sono state vinte dalla nostra fermezza, dalla nostra opera di persuasione che finalmente è stata assecondata della magnifica e commovente cooperazione da parte di tutto il paese, il quale ha concorso quanto meglio ha potuto con le opere in natura. Ma voi ben sapete che nella costruzione di un edificio, oltre alle braccia ed ai mezzi di trasporto, si richiedono anche (escludendo la pietra) legnami, cemento, calce, sabbia, mattoni ecc., tutta roba che costa bei quattrini. Le procure della Chiesa hanno versato lire 3000, la Congregazione del SS. Sacramento lire 1000 e quella della Madonna lire 1000. Questo è molto per le diverse casse, ma è stato poco di fronte al bisogno, tanto è vero che rimane da coprire un debito di circa lire 4000. Ora domando: “A chi tocca pagare?”. La risposta è semplice e spontanea: “A tutti i Cesani”. Qui in paese abbiamo fatto assai, non potete negarlo, e siamo disposti a fare ancora di più; però neppure potete nascondere a voi stessi, o americani, il dovere che ora v’incombe di aggiungere il vostro generoso contributo all’opera così bella, così santa, e tanto laboriosa dei vostri parenti e concittadini. … Mi permetto di farvi considerare che nessuna festa può avere tanto ascendente, tanta forza di persuasione sul vostro cuore e sulla vostra anima di buoni cattolici, quanto la notizia di avere in patria quattro mura ignude che ancora non ci appartengono tutte e che pure costituiscono il Tempio santo di Dio, e che formano una vera gloria per il paese, il quale da solo, in onore di Dio, della B.V. e dei Santi Patroni, ha saputo sostituire il merito di un bell’edificio alla vergogna di quattro tavole mal composte e cadenti. … D. Vittorio Braccioni”.
Con riferimento all’offerta ed alla lettera di Tranquillo Micocci, don Vittorio Braccioni scriveva nel settembre 1925: “Bravo Tranquillo! Per voi è stata una bella notizia il conoscere che in patria si è costruita una Chiesa la quale, se non bella, tuttavia è come si è potuta fare fino ad oggi con tutti i nostri sforzi di qui. Per voi è stata una bella notizia il sapere che in paese non esiste più quell’obbrobrio di baracca-chiesa che l’ultimo straccione non avrebbe voluto per casa. … Addio, caro Tranquillo e siate certo che la Vergine delle Grazie ha benedetta la vostra offerta. So che tra voi si sta raccogliendo un po’ di denaro per la Chiesa; ebbene sappiate che il paese ci tiene alle offerte che vengono da parte vostra. Saluti a tutti. Aff.mo D. Vittorio”.
L’ultimazione dei lavori nel 1926
I lavori dovettero proseguire per tutto il 1926, stando agli scambi epistolari ed alle note nelle quali il parroco riportava le offerte a beneficio della chiesa riguardanti “due mute di tende alle porte della sacrestia”, “le tende alle finestre”, “i braccioli delle candele alle Via Crucis”, “un drappo alla nicchia della Madonna dell’Altare”, “le pile dell’Acqua Santa” e infine “una base portacroce di ferro”. A livello strutturale, invece, in quell’anno si completarono l’intonacatura interna, le gettate in cemento e il drenaggio lungo le fondazioni, nonché la sistemazione della piazzetta antistante la chiesa. Nell’agosto del 1926 scriveva infatti il parroco: “Ad ognuno degli appaltatori di Cese è stata consegnata copia della seguente asta, a cui però nessuno ha risposto. Tuttavia i lavori sono già incominciati. La stuccatura del fronte della chiesa si è creduto meglio affidarla ad un artista forestiero e perciò non sarà possibile che essa si trovi a buon termine per la festa di settembre”.
Cese, lì 12 agosto 1926. Dovendosi eseguire per conto dell’Amministrazione della Chiesa Parrocchiale i sottonotati lavori siete invitato a prendere parte all’Asta privata per l’aggiudicazione di essi. Il presente foglio con l’indicazione dei prezzi da voi praticati va restituito al sottoscritto non più tardi del 15 Agosto, tenendo presente che i materiali occorrenti ai lavori stessi saranno forniti direttamente dall’Amministrazione della Chiesa. L’aggiudicazione dei lavori sarà fatta a favore del migliore offerente. Pagamento a saldo a lavori ultimati.
- Intonaco delle pareti est e nord con riquadrature semplici alle porte e alle finestre – al mq £
- Gittata in cemento (spessore cm 8,00 – alt. m 1,30) lungo le fondazioni delle pareti est e nord – il mq £
- Drenaggio di pietra lungo la fondazione delle pareti nord-est (profondità dello scavo da m 1,30 a m 1,00 – largh. m 0,50) con muretto da cm 20 alla sponda est del fosso – al m £
- Sistemazione della piazzetta prospiciente la facciata sud, consistente nella posa di due gradini di accesso per tutta la lunghezza della piazzetta ed imbrecciatura (i gradini saranno forniti dall’Amministrazione della Chiesa) – in blocco £.
Nota. Incominciando dalla seconda domenica di Luglio verrà esposto in Chiesa un elenco compilato per ordine alfabetico di tutti coloro che hanno in qualsiasi modo contribuito alla costruzione della Chiesa di S. Vincenzo. Questo si fa perché ognuno possa controllare se sono state esattamente registrate le proprie offerte. Data la complessità dei lavori e il numero di persone, è cosa certa che si siano facilmente verificate delle dimenticanze. In tali casi preghiamo gli interessati di darne avviso direttamente al Rev. Parroco. Dopo che l’elenco sarà stato stampato sul Bollettino riusciranno inutili le lamentele dei ritardatari e dei noncuranti.
Nel frattempo, continuavano ad arrivare anche le offerte degli emigrati, ai quali don Vittorio si era rivolto espressamente con una lettera circolare in cui auspicava un contributo per la sistemazione delle facciate esterne, che, a quanto pare, nella loro rozzezza stonavano con il bell’aspetto del vicino edificio scolastico (altri tempi!!!).
“Lettera circolare ai Cesari attualmente residenti a Tyrone (S.U.A.). Dalle frequenti relazioni del Bollettino Parrocchiale avrete conosciuto come in paese sia sorta una chiesuola che, se non è un’opera d’arte, è però un ambiente comodo, decente, anzi si può dire bello per un paesetto come il nostro e addirittura magnifico in confronto di quello spettacolo di baracca che voi ricordate certamente. Ho avuto occasione di avvicinare molte persone della Marsica e tutti hanno lodato l’attività e generosità di Cese, che specialmente in questa impresa si è fatta onore. Dovete sapere però (e del resto non è difficile immaginarlo) che tale opera rappresenta il risultato di molte fatiche e di notevole sacrificio pecuniario da parte del paese e che, ad eccezione di 4 o 5 persone (le quali adesso hanno riconosciuto il loro sbaglio), tutti i cesari hanno dato il loro contributo, quali con opere in natura, quali con danaro, ed i più con l’una e l’altra cosa. A voi è noto quanto costi ora una qualsiasi piccola fabbrica, eppure ho la soddisfazione di dirvi che oggi nella chiesetta di S. Vincenzo (lunga all’interno metri 30 e larga 8) c’è tutta la intonacatura interna, il pavimento, il soffitto con tavole piallate, infissi al completo, nicchie, stucchi, marmi all’altare, impianto elettrico con circa 50 lampadine, Via Crucis nuove a rilievo, tende, ecc. … Chiunque vede la nostra Chiesa di S. Vincenzo rimane soddisfatto alla vista del suo interno, ma non può fare a meno di desiderare la finitura anche all’esterno. Infatti la facciata e i muri al di fuori si trovano ancora nello stato di rozzezza della loro nativa fattura, la quale fa bruttissimo contrasto con l’edificio scolastico che le sta accanto, tutto rifinito nella sua veste recente”.
La risposta dei compaesani emigrati a Tyrone arrivò presto, assieme alla cospicua somma di 6000 lire che fu poi utilizzata per gli ultimi lavori della chiesa. Nella lettera di risposta, in particolare, i contributori scrivevano: “Reverendo Sig. Parroco … Giacché le forze sono esaurite ed il nostro contributo serve necessariamente per la rifinitura alle facciate di fuori, subito abbiamo riunita la somma di lire 6000 che ognuno ha offerta con piacere, facendo conoscere che anche lontano dal paese il pensiero per esso non viene mai meno, come mai meno viene il dovere lasciato dai nostri padri e purtroppo in molti dimenticato, cioè il S. Rosario – Tyrone, Pa 18-7-26”.
Le sparute opposizioni e le celebrazioni della riuscita
In pochi mesi, dunque, il nuovo edificio di culto era divenuto realtà, tuttavia non senza incontrare l’opposizione di una sparuta minoranza storicamente avversa al parroco[2]. Il 7 novembre 1926 si festeggiò il primo anniversario dalla consacrazione. In quella circostanza, il parroco scrisse: “Levata su con le braccia dei forti – finanziata dalle borse dei generosi – difesa dai cuori magnanimi, la Chiesa dei Santi Patroni or fa un anno era già formata nelle sue parti essenziali dopo nove mesi di lavoro. La Domenica 8 NOVEMBRE 1925 (sic), data della benedizione della Chiesa, è stata scritta sui libri eterni dagli Angeli di Dio, assieme ad un lungo elenco di nomi. Le CENTIMETRALI grandezze minaccianti rovine e tutte le dissonanze e tutti i GRIGIORI verificatisi in questa sinfonia di grandi sentimenti, in questo VIGOROSO quadro della vita paesana, non hanno fatto che dare migliore risalto ai particolari e all’insieme dell’opera che così ci è più cara e meritoria. A laude di Cristo – Amen”. Per la stessa occasione, inoltre, un altro religioso di Cese, Padre Valeriano Marchionni, già missionario, scrisse una composizione dal titolo “PER IL NUOVO TEMPIO DI CESE”.
- Si vide un giorno rasato al suol il tempio adorno! … Pieno di duolo lascia la lira, s’ange e sospira, perché la terra fece la guerra alle sue chiese il popolo di Cese.
- Non dorme intanto sulle rovine. Raffrena il pianto, ritorce il crine; e, nell’attesa ch’altri compresa abbia la cura d’alzar le mura, la tenda tese il popolo di Cese.
- Il tempio edace frattanto vana rende la pace. Invano emana i suoi lamenti con mesti accenti. Fin sull’altare la neve appare…! Allor comprese il popolo di Cese
- che troppo lunge andria l’attesa se ad altri ingiunge d’alzar la chiesa. Sorse compatto e fece il patto d’alzar a Dio l’altar più pio a proprie spese il popolo di Cese.
- Vinte le prove ch’a s’ bell’opra l’inferno muove di sotto e sopra, oltre il desire vede apparire modesta e bella, comoda e snella, senza pretese il popolo di Cese
- la sua chiesuola ch’ogni conforto vince da sola, se si tien conto che per incanto (è suo bel vanto) presso le scuole fu alzata al sole in qualche mese il popolo di Cese.
- Se il suo lavoro lottando doma bello è l’alloro sopra la chioma del lottatore… perché il suo pudore non sia poi vano pone la mano ad altre imprese il popolo di Cese.
- Vuole l’altare un pio modello che faccia amar e di più il gioiello di rare Icone. Indi ripone ogni sua cura a ornar le mura che al culto rese il popolo di Cese.
- I paramenti e i sacri arredi faranno intenti i tardi eredi tanto per l’oro che pel decoro… e poi… e… e poi quel che tu vuoi darà cortese il popolo di Cese.
- Viva gli dica la terra adunque: lo benedica il labbro ovunque; finché in Cielo per tanto zelo, Iddio Supremo con dono eterno paghi le spese al popolo di Cese.
P. Valeriano Marchionni – Missionario Trinitario
Già qualche mese prima, un altro religioso di Cese, don Francesco Petracca, aveva scritto un sonetto celebrativo “Pel nuovo Tempio di Cese”.
Tripudiava Satana, caduto l’Altar sacrato a Te, dolce Maria; Ove il popolo cesano in turba pia porge d’amor, di fe’, dolce tributo. E nel folle desio l’Angel perduto scagliarti contro i suoi campioni ardia e se l’alto soccorso non venia il suo perfido voto era compiuto. Ma ti consola, o diva Madre eletta; e tu godi, pio stuolo, e deh! Ti vanta: ebbe l’angue funesto una disdetta. Il popolo fedele in brevi istanti riedificato ha il Tempio, l’Ara santa risuona ormai di cantici festanti. 19 aprile 1926 D. Francesco Petracca
la riapertura della chiesa madre e la sconsacrazione
Già dall’origine, la chiesa dedicata a San Vincenzo Ferreri era stata concepita come soluzione temporanea da utilizzare per far fronte all’indisponibilità della chiesa madre, che sarebbe stata ricostruita solo nei due decenni successivi. Scriveva, a tale riguardo, Don Vittorio, in risposta ai contributori: “In quanto alla moneta che avanzerà, sarà mio pensiero a suo tempo di tenervene informati e di darvi la distinta delle spese fatte. In ogni caso la cosa più necessaria che resta da fare è un armadio di sacrestia (di bella esecuzione, dovendo poi servire per la Chiesa grande), poiché al presente gli arredi sacri formano la delizia dei topi ed il morbido riposo della polvere. Intanto ci stiamo arrangiando con tre tavolinucci che mi ricordano quelli dei frittellari di Napoli e degli abbacchiari di Roma. Però una cosa alla volta”. Già la scelta dell’armadio della sacrestia, dunque, era orientata verso il riutilizzo all’interno della chiesa madre.
Oltre alle poche statue che si salvarono dal terremoto (l’unica su cui si ha notizia certa è quella di San Sebastiano), nella nuova chiesa trovarono posto i “tesori” scampati alla tragedia, ossia la tavola della Madonna, la croce processionale, il turibolo ed alcuni arredi sacri. L’antico tabernacolo, rimasto a lungo accantonato in un angolo di magazzino, fu dapprima murato nella sagrestia della chiesa di San Vincenzo, per poi essere collocato nella chiesa madre. Come ad oggi ancora visibile, all’esterno della sagrestia della chiesetta furono al tempo rimurate le poche pietre “nobili” dell’antica chiesa caduta. Le pareti interne del tempietto furono invece decorate da don Vittorio stesso; durante gli ultimi restauri sono stati infatti rinvenuti alcuni affreschi dipinti dal parroco del tempo, che – come noto – era anche appassionato d’arte e abile pittore. Dopo essere stata sconsacrata (e denominata impropriamente “chiesa vecchia”), è stata usata in momenti diversi per recite, come sala parrocchiale, come circolo ricreativo culturale e anche come magazzino di una cooperativa locale; in seguito è stata ristrutturata alla meglio ed utilizzata (com’è attualmente) per manifestazioni pubbliche e ricorrenze private, ad eccezione di un breve periodo di tempo (2006-2007) durante il quale la chiesa madre è rimasta chiusa per lavori di restauro e quella di San Vincenzo è tornata a svolgere funzioni religiose.
[1]Mentre viene annotata la presenza di altari dedicati alla Beata Maria Vergine, al SS. Crocifisso, a Santa Caterina Vergine e a Sant’Antonio Abate (Mons. Didaco Petra, 1671). Come evidenziato da Di Domenico, l’altare dedicato a Santa Caterina Vergine non viene mai menzionato nelle successive visite pastorali, mentre viene riportata la presenza di un altare dedicato alla Sacra Cena Societatis (ultima cena). Nel Catasto del 1754 vengono annotati beni posseduti dall’Altare di S.Maria delle Grazie, dall’Altare del SS.mo Sacramento, dalla Cappella di San Luca e dall’Altare del Suffragio. Nel 1852 si prevedevano i restauri delle cappelle della Madonna delle Grazie, del Rosario e del SS. Sacramento.
[2] Scriveva Don Vittorio in alcune edizioni dei suoi Bollettini: “Sganascino ha preso lo spunto dal fatto quanto allegro altrettanto certo del ricorso inutilmente tentato da qualche mascalzone in odio alla nuova chiesa. Però ormai è passata molt’acqua sotto il ponte e certe allusioni hanno perduto il loto carattere aggressivo ed al più posseggono un certo valore commemorativo ad uso interno”. E poi: “(…) tentò di denunciarmi presso il Comune di Avezzano per arbitraria occupazione di suolo comunale. Invece a me e al Dott. Cipollone il segretario Colaneri aveva già concesso il permesso di fabbricare. Accortisi poi che nonostante tutta la fatica dei disorganizzatori la Chiesetta era bell’e fatta, si offersero di contribuire anch’essi, prestando gratuitamente l’opera propria per la gittata del pavimento che doveva risultare opera degna del loro nome. Il fatto si fu che l’opera gratuita dei (…) dovemmo pagarla e subito, in ragione di lire 20 e 25 a giornata per ciascuno di essi (lire 480). Inoltre: dovendosi ordinare una porta di discrete dimensioni per detto locale, il (…) mi espresse il desiderio di occuparsene direttamente, volendo produrre una cosa artistica, anche per lasciare ricordo di sé a Cese. L’amicizia e un senso di accondiscendenza verso il neo (…) furono più forti di altre considerazioni. In conclusione: il costo della porta venne ritenuto esorbitante ed eccitò le proteste dei locali artigiani. Si sospettò di un’intesa fra il (…) e il falegname che era di lui creditore. Io fui indirettamente biasimato e l’amicizia con i (…) incominciò a recarmi serio nocumento”.
<Elaborato da O. Cipollone “Le feste patronali di ieri e di oggi”, “Orme di un borgo”, “Don Vittorio Braccioni Abate di Cese”, M. Di Domenico “Cese sui piani palentini” (1993) >











