[Storia delle Cese n.91]
da Mario Di Domenico e Osvaldo Cipollone
Muzio Febonio, nel descrivere la presenza della tavola della Madonna nell’antica chiesa di Cese, nel 1678 ne sottolineava la collocazione sull’altare maggiore (“Est apté ornata, et in ara maiori, in qua Sacrata Deiparae Venerabilis Imago collocatur”), in evidente posizione privilegiata, per accogliere fedeli e devoti che, per tre volte nel corso dell’anno, qui si recavano in pellegrinaggio.
Pietro Antonio Corsignani, che illustrava la stessa chiesa attraverso la descrizione del 1726 pervenutagli dall’abate Ferdinando Aloisi, riportava che “si vedevano pendenti sulle pareti dell’altare maggiore le grosse candele lasciate dai devoti pellegrini di Alvito in onore della Madonna delle Grazie di Cese”. Aggiungeva inoltre che “lo storico pellegrinaggio della comunità di Alvito della Diocesi sorana, fu intrapreso per voto e ringraziamento nell’anno 1675. I devoti di Alvito si erano infatti recati a piedi fino a Cese per rendere omaggio e grazie alla lodata Madonna effigiata nel quadro posto sull’altare maggiore. A gran copia sono altresì pendenti dalle sacre pareti del tempio le tavolette (chiamate Voti) che i devoti alla Sacra effigie usano lasciare a titolo di devozione perenne”. La presenza di tavolette “ex voto” è confermata anche dal Piccirilli, con questi dettagli: “Le pareti erano addobbate da molti ex voto che i fedeli usavano devotamente depositare all’interno del tempio, in corrispondenza degli altari, per grazia ricevuta”. Da questi passaggi è possibile ricavare almeno due notazioni di rilievo: la prima è relativa alla particolare devozione da parte dei pellegrini di Alvito (paese distante oltre 50 chilometri da Cese), mentre la seconda fa riferimento alla presenza di numerose tavole “ex voto”, a loro volta legate alle “grazie” ricevute.
Nella “Reggia Marsicana” del Corsignani viene specificata l’origine del culto particolare verso la Madonna di Cese, la cui effigie era ritenuta miracolosa: “Vi rimase bensì la vetusta Chiesa col Titolo di Santa Maria delle Grazie situata nella detta Terra delle Cese, poi sottoposta a’ Vescovi de’ Marsi … Quindi è che vi si conserva la miracolosa Immagine di N.D., quale vogliono per antica tradizione, che fosse una di quelle dipinte da San Luca. … Grande perciò il concorso del Popolo a tal Chiesa, e molto sono i favori che per mezzo di questa benedetta Effigie IDDIO si compiace dispensare a’ divoti della sua Madre, siccome è ben noto, e lo confermano le Tavolette (Voti chiamate) che a gran copia sono pendenti dalle sacre pareti del medesimo Tempio”. Nella nota a latere si legge inoltre “La d. Madonna delle Cese, è assai miracolosa ed ha concorso di gente; è pieve”. Come facilmente ipotizzabile, in queste note si fondono elementi comprovati, leggende ed errori storici, come quello che voleva la tavola della Madonna dipinta da San Luca, anziché da Andrea De Litio. L’elemento ricorrente, tuttavia, è rappresentato dall’ampio concorso di devoti provenienti da altri luoghi; non a caso, quella che oggi è conosciuta come chiesa e parrocchia di Santa Maria, per gli storici era la “Madonna delle Grazie di Cese”, appunto con un evidente riferimento alle “grazie” richieste e concesse dalla Madonna cesense.
Di Domenico inquadra la supposta miracolosità della tavola nel contesto storico in cui la credenza si diffuse maggiormente. “Il periodo (il XVI secolo) era estremamente favorevole a questo tipo di narrazioni: tutta la penisola italiana, da Siracusa a Venezia, esultò per l’esito della battaglia (di Lepanto) e quindi la liberazione dal dominio dei Turchi. Può ragionevolmente essersi generato in quest’epoca l’embrione leggendario della tavola cesense; nel generale proliferarsi ovunque delle leggende legate alle Madonne trasportate dalla lontana Costantinopoli, sebbene la necessità di un collegamento leggendario in Cese può presumersi solo a partire dal secolo XVII, allorquando la fede popolare le attribuisce diversi eventi miracolosi. Negli anni immediatamente successivi alla consegna della tavola da parte del De Litio alla comunità parrocchiale, ciò non sarebbe stato possibile in quanto l’immagine non era ancora assurta al grado della miracolosità[1]”. Aggiunge poi lo stesso Di Domenico: “A causa delle leggendarie circostanze che corredarono la tavola, la sacra immagine fu da tutti considerata miracolosa. Era altrettanto devotamente venerata dalle popolazioni della Terra di lavoro e della provincia aprutina, come attesta il Febonio ai suoi tempi. Stando alle testimonianze raccolte dal Corsignani nella persona del parroco di Cese, Giuseppe Tomei, poco prima dei devastanti terremoti degli anni 1703 e 1706 che sconvolsero L’Aquila, Sulmona e la Marsica, il viso della Madonna avrebbe mutato di colore a presagio del disastroso evento. La miracolosa circostanza pare si fosse verificata anche alla vigilia di altre calamità naturali, come racconta il Corsignani. Ad imprimere agli eventi presunzione di verità o di fede furono i Cardinali del Sacro Collegio di Roma che concessero alla chiesa di Cese intitolata alla Madonna alcune indulgenze plenarie da rimettersi ai fedeli visitatori nel corso dell’anno[2]”.
Diversi sono i punti salienti di questa ricostruzione, primi fra tutti quelli relativi alle circostanze eccezionali che collegherebbero l’aspetto del volto della Vergine a diverse calamità naturali succedutesi nel tempo; non secondaria, inoltre, è la nota relativa alla concessione di indulgenze plenarie ai visitatori del tempio cesense. A tal riguardo, si può presupporre che l’immagine della Vergine non fosse, al tempo, l’unico oggetto di venerazione e di culto da parte dei pellegrini. Nella relazione alla visita pastorale del 19-20 maggio 1671, infatti, il Vescovo Didaco Petra annota di aver impartito alcune raccomandazioni ed ordini ai sacerdoti della chiesa di Cese perché si occupassero maggiormente, oltre che della conservazione del tempio, anche delle “sacre reliquie in esso costudite”. In particolare, il Vescovo Petra scrive: “Tre le altre segnalai la conservazione delle reliquie di alcuni santi, tenute in una piccola capsula lignea”[3]. Evidentemente, a quel tempo erano presenti anche altre reliquie preziose non meglio specificate e non adeguatamente “valorizzate”. L’immagine della Vergine, fulcro dell’interesse dei fedeli, era invece conservata all’interno di una “capsula argentea”.
Come noto, anche oggi a Cese esiste una chiesa dedicata alla “Madonna delle Grazie”, anch’essa di antica origine e conosciuta in passato anche come “Madonna della Rafia”. Osvaldo Cipollone scrive che anche tale chiesetta, considerata “il piccolo santuario di Cese”, in passato era meta di pellegrinaggio da parte di devoti provenienti da altre zone. “In particolare, i fedeli di Alvito giungevano in pellegrinaggio a Cese due volte l’anno (sic), in segno di ringraziamento per esser stati preservati dalla peste per grazia della Madonna. Nell’occasione, i pellegrini visitavano entrambe le chiese parrocchiali dedicate alla Vergine: quella principale e la cappella fuori le mura. Qui deponevano ex-voto e ceri portati a piedi dalla loro terra. Prima di far ritorno a casa chiedevano, fra le altre grazie, la possibilità di tornare nuovamente negli anni successivi, e lo facevano adornando le pareti della chiesuola con le proprie offerte”.
Ad oggi non è dato sapere fino a quando si siano protratti i pellegrinaggi alla Madonna di Cese; di certo, però, già nel XX secolo non ve n’era traccia, mentre restano inconfutabili le testimonianze storiche relative al XVII e XVIII secolo, quando il nostro paese era divenuto meta di pellegrinaggio.
[1] M. Di Domenico, “Cese sui piani palentini”.
[2] P.A. Corsignani, “Reggia marsicana …”. In nota A. Degli Effetti, “Memorie di Santo Nonnoso abate del Soratte”
[3] M. Di Domenico, “Cese sui piani palentini”.
<Elaborato da M. Di Domenico, “Cese sui piani palentini” (1993) e O. Cipollone, “Le feste patronali di ieri e di oggi”>

