,

La nevicata del ’56… alle Cese

[Storia delle Cese n.82]
da Osvaldo Cipollone e Giovan Battista Pitoni

A cavallo dei mesi di gennaio e febbraio del 1956 avveniva un evento atmosferico straordinario, e sono ancora in molti ad averne impressi nella mente i ricordi e le immagini. La famosa “nevicata del ‘56” venne provocata da una rara perturbazione di aria gelida, tale da generare una tra le più copiose perturbazioni nevose che si ricordino a memoria d’uomo. I fiocchi iniziarono a cadere dagli ultimi giorni di gennaio e continuarono a più riprese, tanto che alla fine di aprile ancora si potevano osservare lastroni di ghiaccio in zone non soleggiate. La coltre bianca superò il metro di altezza e ostacolò gli spostamenti locali, interrompendo i collegamenti con altri paesi. Le scuole rimasero chiuse per due settimane e i disagi furono gravi. Anche allora non mancavano le scadenze, e certi progetti dovevano essere rispettati in ogni caso. Il matrimonio tra Giovannina “de Palono” e Dino (di Alba Fucens), ad esempio, venne celebrato nonostante tutto e con le comprensibili difficoltà del momento. L’abito della sposa arrivò a casa grazie all’impegno di un fratello e di un suo coetaneo amico di famiglia. I due diciannovenni riuscirono a far fronte a quella necessità percorrendo a piedi il tratto di strada innevata che separava Cese da Magliano (paese della sarta). Al ritorno, i giovani si muovevano faticosamente con il prezioso indumento riposto dentro una valigia; le gambe sprofondavano nell’enorme massa nevosa che le ricopriva fin sopra alle ginocchia. Pietro e Vincenzo in quell’occasione portarono a termine l’impresa dopo più di sei ore di fatica e con i piedi semicongelati. Il giorno delle nozze, con l’ausilio di una pala meccanica fu possibile aprire un varco lungo i circa 300 metri che separavano la casa della sposa dalla chiesa. Gli sposi non poterono raggiungere immediatamente la loro nuova casa, situata ad Alba Fucens, ma dovettero pernottare presso quella della sposa; il giorno dopo, affrontando altre peripezie, fu possibile portare a termine il trasferimento a bordo di un automezzo e di carretti trainati da animali.

Per un lungo periodo i contadini e gli allevatori tennero il badile sempre a disposizione a ridosso delle case, in modo da poter raggiungere le stalle e governare gli animali, mungerli, condurli all’abbeveratoio e rifornirsi di legna. Quasi tutte le abitazioni erano al tempo strutturate con tetti in legno. Si notavano allora travi e tavolati pericolosamente flessi sotto il peso della neve, e, per evitare possibili sfondamenti, i proprietari furono costretti a liberare i tetti. La massa andò così ad aumentare la coltre accumulatasi sulle strade, bloccando anche il minimo passaggio pedonale. In diversi tratti del corso i dirimpettai pensarono bene di scavare dei tunnel per collegare i due lati della strada e permettere ai figlioli di incontrarsi e trascorrere insieme quelle monotone e pigre giornate. Alcuni tratti di via in discesa, opportunamente battuti da squadre di giovinastri, fungevano da piste per sciare o scivolare. Sulla superficie liscia i giovani vi riuscivano con facilità, dopo una lieve rincorsa. Uno dei ragazzi, dotato di sci, dopo aver raggiunto la sommità della montagna si avventurò scendendo ripetutamente lungo il pendio e zigzagando fino al paese. L’esperienza acquisita da militare e le sue indubbie capacità vollero essere emulate da parenti ed amici; qualcuno, però, riportò seri danni per le cadute. Le gelate notturne avevano ispessito anche lo strato di ghiaccio del vicino torrente; molti si cimentavano a sciarvi sopra, anche qui con conseguenze immaginabili.

I più piccoli si rifugiavano sotto qualche tettoia per intrattenersi a giocare. Le donne, purtroppo, erano costrette ad una clausura forzata. La numerosa prole, l’igiene della casa, la cucina, il rammendo e la realizzazione di calze, sciarpe, guanti e maglie ai ferri occupavano le energie e il tempo. Per le esigenze personali della famiglia, scaldavano la neve dentro ai paioli. Uscivano raramente, quasi solo per raggiungere le fontane ed attingere l’acqua potabile necessaria ad “ammassare” la pasta e a cuocere focacce di mais e polenta. Ogni settimana, poi, impastavano il pane per portarlo al forno pubblico. Dopo la cottura, portando le pagnotte sul capo con “jo scifellóno”, affrontavano percorsi impervi con il rischio concreto di scivolare e cadere. Gli uomini, dal canto loro, erano occupati per gran parte del tempo: spalavano neve più volte alla settimana, creavano passaggi larghi poco più dell’ampiezza di una pala e realizzavano varchi simili a gallerie. Per procurarsi legna e fascine dovevano cimentarsi in impegni non usuali. A volte qualcuno era costretto a raggiungere la campagna per abbattere qualche pianta ancora verde che, una volta messa nel caminetto, regalava più fumo che calore. Nei momenti oziosi si riunivano nei rispettivi rioni, spesso raggruppandosi a raggiera nel tipico “róto”, il crocchio che sostituiva, in qualche modo, gli attuali intrattenimenti televisivi e telegiornali. All’epoca, in verità, quelli realizzati in estemporanea dai vari “personaggi” erano sicuramente più originali ed apprezzati di quelli che ci propinano oggi alcuni canali televisivi. Erano molti gli uomini “di spirito”; divertimenti tipici erano gli “sfottò”, le fantasiose performance, i racconti ricchi di esagerazioni e qualche insinuazione condita da storie “piccanti”. La domenica magari giocavano con le bocce di legno, che divenivano bianche affondando nella neve e scomparendo; ritrovarle diventava anch’esso un passatempo, al pari del gioco. A gruppi di quattro, sei o otto, solitamente giocavano anche a carte sotto le tettoie o dentro le stalle. Lo scopo finale (e forse più importante per entrambi i giochi) era quello della bevuta o della passatella col tipico vinello locale. L’eccezionalità della nevicata passava così in second’ordine; il vino, assunto a volte in grande quantità, faceva dimenticare i problemi, generandone magari altri, forse più frivoli, ma comunque contingenti.

In quei mesi furono avvistati anche alcuni lupi che, alla ricerca di cibo, valicarono il monte in prossimità delle attuali antenne televisive e giunsero verso la località di “Santa Lucia”. In quelle circostanze si costituì addirittura un gruppo di volontari che avevano il compito di sorvegliare e perlustrare la zona per proteggere abitanti e greggi; poiché fortunatamente non si verificò alcun episodio spiacevole, qualcuno sostenne che non si trattasse di lupi, ma più semplicemente di cani randagi.

Una cronaca della situazione vissuta in quei giorni ad Avezzano e nella Marsica è fornita da Giovan Battista Pitoni, il quale scrive: “Si stentava a ripristinate le linee telefoniche e telegrafiche e si lavorava alacremente per collegarsi con i paesi isolati. Un elicottero dei vigili del fuoco giunse ad Avezzano per rifornire, di viveri e medicinali, i paesi rimasti per molti giorni irraggiungibili, le scuole chiuse per un paio di settimane e i treni fermi per alcuni giorni. Il sindaco di Avezzano ordinò a tutti i proprietari dei fabbricati che si affacciavano sulla strada, di provvedere immediatamente allo sgombero della neve e del ghiaccio sui marciapiedi antistanti per una larghezza media di due metri e di accumulare la neve sulla restante parte del marciapiede e, comunque, senza ingombrare la sede stradale. Alpini, squadre di sciatori volontari, polizia stradale e carabinieri recarono, in alcuni centri isolati, medicinali e quantitativi di viveri. La neve, intanto, cadeva incessantemente e il sindaco ordinò alla popolazione di scaricare immediatamente i tetti mentre il Comune, per agevolare la condotta dei lavori, assumeva l’incarico dell’assicurazione contro gli infortuni: tutti gli operai, capaci di effettuare il relativo lavoro, erano invitati ad iscriversi in apposito elenco presso l’Ufficio tecnico comunale. La paga giornaliera era di lire 1.500. La frazione Cese risultò essere tra le più isolate e il sindaco dispose che la Farmacia D’Eramo fornisse tintura di iodio, garza, cotone idrofilo, canfora, coramina, alcool e bende per l’assistenza agli abitanti del paese”[1].

Oltre all’evento che portò al crollo del tetto della chiesa nel 1876, i più anziani al tempo avevano ancora impresse nella memoria le immagini di un’altra nevicata storica, avvenuta nell’inverno 1928/1929. Come raccontava Vincenzo Cipollone (“de Papparéjjo”), in quell’occasione si gelarono persino le piante degli olmi e dei pioppi. “I pioppi che stavano in campagna si spaccarono a metà con la gelata, e pure tutte le vigne si gelarono. Il freddo era talmente forte che la neve non si sciolse per tutti i mesi di gennaio e febbraio. La Rafia era già in piena quando si ghiacciò, poi ci nevicò nuovamente e si creò uno strato liscio, piano, tanto che ci si poteva passare sopra. Poi fecero tante giornate di sole e la neve si cominciò a sciogliere, ma il primo giorno in cui si riuscì ad andare in campagna fu il 19 marzo, San Giuseppe; fino ad allora rimase tutto coperto di neve”. “Noi ci avventuravamo su in montagna per procurarci un po’ di legna; frasche, spine, bossi… al tempo non si sprecava niente, persino l’erba secca, la pastenaca in campagna, per riscaldarsi si usava di tutto, la cama, la paglia…”.

Tutto rientrava in un contesto di vita rurale d’altri tempi. Sicuramente gli inconvenienti ed i disagi di allora furono ben diversi da quelli incontrati nel 2012, anno dell’altra nevicata memorabile. In quell’occasione si sono affrontati nuovi disagi, altre difficoltà, ma i paragoni non sono sempre attuabili: ogni problema è figlio di epoche specifiche e di realtà rese diverse dallo scorrere del tempo.


[1] https://www.ilcentro.it/l-aquila/sessant-anni-fa-la-nevicata-del-secolo-che-blocc%C3%B2-avezzano-1.126567


<Rielaborato da un articolo pubblicato su “La voce delle Cese” (28 febbraio 2016), da un articolo de “Il Centro” (14 febbraio 2016), da O. Cipollone “Angeli co’ jji quajji” (1997) e da un’intervista a Vincenzo Cipollone (1993)>


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…