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Sant’Antonio Abate e San Sebastiano, culti e storie diverse

[Storia delle Cese n.81]
di Roberto e Osvaldo Cipollone

Il freddo mese di gennaio ospita, lontano ma non troppo dall’Epifania, le ricorrenze dedicate a due Santi che nella devozione locale hanno ruoli molto differenti, ma detengono una propria particolare rilevanza. Una rima popolare ancora in vita, d’altra parte, recita “Dice Pasqua Bbbufanìa: Tutte le fésti le porto via. Ci responne Sant’Antonio: Fèrma qua che c’è la mia!”.

Sant’Antonio Abate

Il culto di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) è, come noto, molto sentito e diffuso in tutto l’Abruzzo ed in particolar modo nella Marsica, dove viene festeggiato un po’ in tutti i paesi (con manifestazioni molto antiche e partecipate soprattutto nella Marsica orientale). La festività è ricca di riferimenti sociali e religiosi nonché di significati antropologici che hanno profonde radici storiche. Il primo fattore che ben spiega la diffusione del culto nell’area marsicana è legato alla protezione degli animali, degli allevatori e in generale del mondo agricolo-pastorale. Nei “santini”, l’Abate è sempre rappresentato attorniato da molti animali domestici, oppure in compagnia del solo maiale (nel caso delle statue), simbolo dell’abbondanza e della prosperità ma anche della sicurezza, dell’autosufficienza e dell’assenza di spreco. In ogni stalla del paese era presente un’immagine del Santo, per proteggere gli animali sia contro le malattie (la peste suina, soprattutto) che contro gli incendi. Ed è proprio il fuoco il secondo elemento ricorrente nel culto di Sant’Antonio Abate, che viene universalmente festeggiato in Abruzzo con grandi falò attorno ai quali si riunisce la gente festante. I fuochi hanno anche una funzione collegata ad antichi riti del solstizio d’inverno, come quello della purificazione e dell’abbandono dei mesi passati in una prospettiva di rinnovamento legata al nuovo anno. Il terzo elemento è quello della carità e della condivisione, simboleggiate dall’antica “panetta di Sant’Antonio” attraverso la quale, almeno in origine, si donava del cibo (più spesso della farina) a chi nella ricorrenza andava a chiederne casa per casa.

A Cese, in particolare, in passato arrivavano anche dei mendicanti che giravano appunto per chiedere l’elemosina, augurando ai benefattori la benedizione del Santo; portavano due federe come bisacce, una per la farina bianca e l’altra per quella rossa. Qualcuno si accompagnava con l’organetto e cantava una canzoncina in onore di Sant’Antonio, così come facevano gruppi di giovani che approfittavano dell’usanza per rimediare un pezzo di salsiccia o un bicchiere di vino. La canzone, che veniva anche arrangiata a piacimento, a volte con tono scherzoso e goliardico, a Cese diceva più o meno così:

“Sant’Antonio ggiglio ggecondo, ‘nnuminato pe’ tutto il mondo. Se cci-avete le pecorelle cresceranno grass’e belle, se cci-avete cavalli e bbóvi Sant’Antonio ci jji conzóli. Se cci-avete cavalli e carrozze Sant’Antonio ci dia la forza. Sant’Antonio ajjo deserto s’allevéva ‘no maialetto, jo demonio mmaledetto ci jj’andava a disturba’. Sant’Antonio Sant’Antonio jo nemico dejjo demonio. Fate presto signora padrona che dobbiamo da parti’; a ‘n’atra casa dobbiamo anda’ Sant’Antonio pe’ canta’”.

In occasione della ricorrenza, il 17 gennaio veniva celebrata una messa molto partecipata, a cui seguiva la benedizione degli animali, che venivano portati davanti alla chiesa. In un bollettino stilato da Don Vittorio Braccioni nel 1925 si legge: “17 Gennaio – Anche quest’anno la festa di S. Antonio Abate è stata celebrata bene. Dico bene, perché molto frequentata nei SS. Sacramenti. Oratore meritatamente lodato: Rev. Don Angelo Barbati, Abate di Cappelle”. L’anno successivo, nella stessa circostanza, il sacerdote di Cese scrisse: “17 Gennaio – La festa di S. Antonio Abate, anche quest’anno e forse meglio che gli anni scorsi, ha segnato una magnifica manifestazione religiosa con un concorso quasi generale ai Santi Sacramenti, specialmente da parte degli uomini. A quella del Rev. Sig. Parroco si unisce la lode commossa dei padri Confessori: P. Vincenzo dei Cappuccini e P. Simone dei Minori, Guardiano del Convento di Magliano; oratore e confessore il dotto P. Davide Egidi dei Minori”. A quanto risulta, la festa di Sant’Antonio Abate in passato era organizzata dalla confraternita del Santissimo Sacramento. Raccontava al tempo Vincenzo Cipollone (“de Papparéjjo”): “All’epoca a Cese c’erano due congreghe: quella della Madonna e quella del Santissimo. I cassieri della Madonna facevano la festa di Sant’Elisabetta, quelli del Santissimo facevano la festa di Sant’Antonio, e riscuotevano per queste feste. Il residuo che avanzava andava in cassa”.

La statua di Sant’Antonio Abate attualmente presente nella nostra chiesa è successiva al terremoto del 1915. Prima del sisma, ed in epoca già molto precedente (addirittura nel ‘600), esisteva sicuramente un altare dedicato al Santo. Scriveva infatti Monsignor Didaco Petra, Vescovo dei Marsi, nella relazione successiva alla visita pastorale a Cese del 19 e 20 maggio 1671: “In quella occasione visitai la chiesa che era di una sola navata […] . Infine visitai l’altare di S. Antonio abate, adornato di un crocifisso ad alcuni candelabri”. Vincenzo “de Papparéjjo” parlava in particolare di un dipinto (o di un affresco) dedicato al Santo: “Alla fine della chiesa antica non c’era una parete quadrata, ma c’erano due rientranze di circa un metro e mezzo, e là c’era l’altare con la tavola della Madonna, di fronte. Ai due lati c’erano, in pittura, da una parte Sant’Antonio e dall’altra San Francesco, e sopra all’altare c’era un grande occhio, che era l’occhio di Dio”. Sant’Antonio Abate aveva comunque una propria statua già prima del terremoto; raccontava Vincenzo: “Tranne la statua di San ‘Bastiano, tutte le altre sono cadute, e quella di Sant’Antonio, che stava esposta per la novena (quattro giorni dopo sarebbe stata la sua festa) è andata in frantumi e una mano di legno che era attaccata al braccio con un chiodo è finita in testa a Peppino Bruno, il padre di Luigi, e lo ha ferito. Dopo che siamo riusciti a liberarci dalle macerie e siamo arrivati fuori, se l’è riportata a casa per devozione”.

San Sebastiano

La venerazione verso San Sebastiano (20 gennaio) a Cese non ha tracce profondissime. Si sa per certo che esisteva una piccola nicchia posta all’inizio di quella che è l’attuale Via San Sebastiano, come si sa, dai documenti notarili, che l’intera zona andava sotto il nome di “San Bastiano” (“contrada San Sebastiano”, negli archivi diocesani successivi al terremoto). Non è invece noto a quale epoca risalga l’inizio della devozione verso questo Santo. A differenza di quanto documentato per Sant’Antonio, infatti, non sembra ci fossero in passato feste riservate esclusivamente a San Sebastiano; si sa, tuttavia, che a lui poteva e può essere dedicato uno dei giorni della festa patronale. In particolare, nei bollettini di Don Vittorio Braccioni c’è traccia di celebrazioni dedicate e San Sebastiano nei giorni della festa di San Vincenzo Ferreri: “12-13 maggio (1926). Festa di S. Vincenzo e S. Sebastiano. Festaioli: Corradini Simone – Di Matteo Vincenzo – Marchionni Augusto – Petracca Angelantonio”. In linea generale, il culto di San Sebastiano si è diffuso in tutta Europa a partire dal IV secolo grazie al suo potere miracoloso contro i mali morali e fisici, ed era strettamente connesso con l’antica immagine di Apollo, come protettore contro le epidemie; i santuari dedicati a San Sebastiano erano collocati lungo le principali vie di comunicazione e ospitavano i pellegrini e i malati che imploravano anche San Leonardo e San Rocco[1]. Sulla base di tali ricorrenze, è facilmente ipotizzabile che la nicchia dedicata a San Sebastiano sia stata edificata in tempi remoti, quando cioè era maggiore l’impatto delle epidemie, e dunque maggiormente sentita l’esigenza di ricorrere alla protezione del Santo.

Dalle testimonianze orali è giunta a noi la notizia che la cappelletta dedicata a San Sebastiano si trovasse in pessimo stato di conservazione già prima del terremoto del 1915, e che tale contingenza abbia spinto i nostri compaesani a edificare una cappella all’interno della chiesa e, nella stessa circostanza, a far realizzare la statua visibile ancora oggi. In “Un’eco di note e di passi” si legge (pag. 184): “Fanno parte dell’antico arredo della chiesa anche una campanella bronzea (ora posta sulla destra dell’abside) e l’unica statua del tempio antico, rappresentante San Sebastiano”. L’informazione è stata acquisita dalla testimonianza di Vincenzo Cipollone (“de Papparéjjo”), che in una video-intervista del 1993 ricordava: “Delle statue che ci sono adesso, solo quella di San Sebastiano è di prima del terremoto”. Alla domanda: “Come mai a Cese esiste anche una strada intitolata a San Sebastiano?”, Vincenzo rispose: “C’era una conetta dove sta la via che si chiama San Sebastiano. Questa poi era demolita (in rovina, trascurata), ma ricordandosi che c’era la conetta di San Sebastiano, hanno fatto una cappella. Da una bottega di quelle che stavano accanto alla chiesa hanno aperto l’arco, dentro la chiesa, e ci hanno fatto una cappella nuova dedicata a San Sebastiano, con la statua”. “Quindi la statua che sta ora a Cese è quella di prima del terremoto?”. “Sì, prima del terremoto. Quando fecero la cappella, fecero pure questa statua. Quando ha fatto il terremoto, lui (San Sebastiano) è rimasto scoperto”. Dal gesto di Vincenzo (ben testimoniato dal video), si intuisce che tutta la parte muraria attorno al Santo e gli altri elementi che plausibilmente proteggevano la statua siano crollati con il terremoto e che la statua sia rimasta isolata e fortunatamente inviolata.

Alcune scarne notizie documentali sulla statua sono ricavabili dagli inventari dell’archivio diocesano successivi al terremoto. In quello del 23 settembre 1915 (“Beneficio parrocchiale di S. Maria delle Grazie in Cese di Avezzano. Verbale di presa di possesso – Vacanza 13 gennaio 1915”), nella sezione relativa ad arredi sacri, suppellettili e mobili si legge: “Cinque statue di Santi in legno e cartapesta, completamente avariati”.

Tale nota è certamente approssimativa (d’altra parte erano passati soltanto otto mesi dal sisma e lo scopo del documento era quello di inventariare sommariamente i beni ancora esistenti) e viene smentita dall’inventario successivo, datato 1929 (“Inventario completo Chiesa parrocchiale di S.Maria in Cese di Avezzano”). Alla voce “VIII) Statue – Quadri”, si legge infatti: “Statua S. Sebastiano di carta pesta, di buona fattura artistica”. Tale specifica non viene riportata per nessun’altra statua. In corrispondenza delle prime due voci (S. Cuore di Gesù e S. Vincenzo Ferreri, in legno) è specificato “di recente fattura”; in corrispondenza di S. Giuseppe, in legno, è specificato “di vecchia fattura”, mentre per S. Antonio Abate e S. Rocco, di carta pesta, sembra leggersi “di corrente fattura tecnica”.

Una nota particolare è legata a due preziose statue di San Sebastiano che non avevano attinenza con Cese. Si può dire che entrambe abbiano preso forma nella bottega di Andrea del Verrocchio, la cui scuola ha influenzato anche due artisti abruzzesi: Silvestro dell’Aquila e Saturnino Gatti, autori appunto delle pregevoli statue lignee (realizzate nel 1478 e nel 1517) che raffigurano San Sebastiano secondo i canoni del tempo. Le due statue si trovano nella collezione permanente del MuNDA, all’Aquila, ma durante un’esposizione temporanea, necessaria dopo il sisma del 2009, sono state esposte presso il Museo di Arte Sacra nel Castello di Celano. Ebbene, in quella circostanza i due San Sebastiano abruzzesi sono stati collocati proprio accanto al quadro della Madonna di Cese, quasi a comporre – in maniera inedita, in parte casuale ma senz’altro suggestiva – un bel quadro rinascimentale.

In una foto risalente a fine anni ’30 o inizi ’40, invece, si vedono i due santi, Antonio Abate e Sebastiano, uno dietro l’altro durante una processione nella piazza di Cese. Una bella coincidenza che permette di apprezzare entrambe le statue in uno dei rari scatti di quegli anni.


[1] https://dabruzzo.it/2017/02/09/il-culto-di-san-sebastiano/

<Articolo originale elaborato sulla base dei citati documenti dell’archivio diocesano dei Marsi e delle notizie riportate in O. Cipollone, “Le Cese immagini di ieri” (1991), “Angeli co’ jji quajji” (1997), “Don Vittorio Abate di Cese” (2004), intervista a Vincenzo Cipollone (1993) e M. Di Domenico, “Cese sui piani palentini” (1993)>


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