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Il dialetto delle Cese. Non solo ‘na parlata

[Storia delle Cese n.72]
da Osvaldo Cipollone

I dialetti marsicani, come il resto dei dialetti abruzzesi, si presentano frammentati, influenzati come sono dalle vicende storiche della subregione, che già in epoca antica era divisa in due aree: quella a settentrione del lago Fucino, occupata dagli Equi/Equicoli, e quella a meridione, abitata dai Marsi. Gli idiomi marsicani possono essere suddivisi in due grandi gruppi dialettali. Nell’area della piana del Fucino e nella parte meridionale della subregione si parlano dialetti meridionali intermedi. Invece, nell’area settentrionale della subregione, tra i territori di San Pelino, Tagliacozzo, Carsoli e fino all’alta valle dell’Aniene[1], oltre il confine tra Abruzzo e Lazio, sono parlati dialetti italiani mediani. Più precisamente, nella Marsica possono essere identificati quattro sottogruppi linguistici omogenei[2]:

I primi due rientrano gruppo italiano meridionale e presentano, per alcune caratteristiche fonetiche, una somiglianza con il napoletano a causa degli scambi economici documentati durante il Regno di Napoli[3]. Gli altri due rientrano, invece, nel continuum italiano-mediano che copre l’area palentino-carseolana. Inoltre, prima e dopo il prosciugamento del lago Fucino e dopo il terremoto del 1915, che causò notevoli spostamenti di carattere demografico, si è diffuso l’influsso operato dall’italiano regionale romano che successivamente è andato radicandosi anche a causa dell’industrializzazione e delle relazioni di pendolarismo con la Capitale[4].

Caratteristiche fonetiche

L’influenza storico-geografica che ha interessato la subregione marsicana ha contribuito alla conservazione di alcune peculiarità. Con riferimento al vocalismo, in particolare, si riscontra il fenomeno della “metafonesi”, che colpisce le vocali toniche é, è, ó, ò (chiuse/aperte) quando la vocale finale della parola originaria latina è i oppure u. Nella Marsica esiste la metafonesi di tipo sabino che consiste nel passaggio di é e ó a i e u mentre le vocali aperte è, ò subiscono la chiusura in é e ó. Nuovoàgnóvo, fratelloàfratéjjo. L’indebolimento delle vocali atone, che costituisce la caratteristica più vistosa dei dialetti centro-meridionali nella Marsica – eccetto il tagliacozzano e la piana del Cavaliere – consiste nella tendenza delle vocali atone (non accentate) a confluire nell’unico esito indistinto “ə”. Nel dialetto cesense tale fenomeno non è presente ed è forse questa la caratteristica che lo differenzia maggiormente rispetto, ad esempio, al dialetto avezzanese (cane/pane, nel dialetto cesense cano/pano; in quello avezzanese canə, panə). Con riferimento al consonantismo, il fenomeno che maggiormente interessa la Marsica è quello della palatalizzazione, ossia il passaggio dei nessi LI, LU, LLI, LLU a ji, ju, gli, gliu. Esempi nel dialetto cesense: mollicaà mojjica; gallina à cajjina. Uno dei fenomeni generali, comuni all’intera Italia centro-meridionale è l’assimilazione dei latinismi MB, ND in mm, nn. Esempi nel dialetto cesense: imbastire à ’mmasti’; candela à cannéla; mondo à munno, ma anche in tutti i gerundi (vedendo → vedènne; giocando → ggiochènne; parlando → parlènne). Da notare che nel dialetto cesense questa assimilazione avviene anche per il gruppo NV, che diventa mm (es. invidia à ’mmidia ; invece à ’mmece).

Il dialetto cesense

Come scrive Luigi Mannarella nel saggio “Il Dialetto Abruzzese”, l’idioma dialettale talvolta assurge a dignità di lingua. Spesso la musicalità che vi si percepisce ed i suoni armoniosi che lo accompagnano creano vere e proprie opere d’arte, come le moltissime conosciute nella nostra regione. Il dialetto cesense presenta alcuni tratti comuni ai dialetti marsicani ed abruzzesi, ed altri assolutamente esclusivi.

L’aggettivo possessivo viene posto di solito dopo il sostantivo cui è legato: mamma me’, jo paeso mi’, la casa se’. In caso di relazioni parentali o in altri casi particolari, poi, l’aggettivo possessivo si fonde con la parola che lo segue, ma solo nella di 1ª e 2ª persona singolare: fràteto = tuo fratello, matréeta = tua suocera, nònneto = tuo nonno, ma anche casta = casa tua. Tra l’altro, la fusione avviene anche quando i pronomi personali di 1ª e 2ª pers. sing. e plur. sono preceduti dalla preposizione semplice “con”: méco = con me, téco = con te, nósco = con noi, vósco = con voi. Questa particolarità ricorda le forme latine mecum, tecum, vobiscum, ecc. La fusione avviene anche quando la preposizione in è seguita da termini che iniziano per m o n (in mezzo = ‘mméso, in nome di Dio = ‘nnòm’ ‘e Ddio). La forma riflessiva dei verbi viene spesso adottata in dialetto per “tradurre” quelle che in italiano sono forme attive dell’imperfetto: ad esempio “io pensavo” diviene “i’ me penzeva” e “chi l’avrebbe creduto?”, “chi se llo sarria creduto”? (antiq. “criso”).

L’afèresi, ossia l’elisione della lettera iniziale della parola, è frequente negli articoli indeterminativi (‘no = uno, ‘na = una) e nelle parole che iniziano per IN e IM: ‘ntorno = intorno, ‘mprovelato = impolverato. Ciò accade anche con la preposizione semplice IN, che va a legarsi al termine seguente: ‘n-célo = in cielo, ‘n-terra = in terra, ‘m-paradiso = in paradiso. L’apòcope, cioè il troncamento della sillaba finale, è facilmente riscontrabile nei verbi all’infinito: lègge = leggere, ggioca’ = giocare, senti’ = sentire. L’epìtesi, ossia l’aggiunta di una sillaba al termine di una parola, avviene soprattutto con la sillaba NE, utilizzata per dare tono rafforzativo al termine. Può verificarsi nei verbi all’infinito, solitamente tronchi: laora’ → laorane, magna’ → magnane e nei monosillabi i’ → ine, tu → tune, scì → scine, no → none.

La sincope (omissione di una sillaba) è sovente utilizzata nei dialetti per la necessità di un linguaggio più rapido e incisivo: “signora mia” = ‘gnòra me’; “non sono potuto venire” = no’ sò’ puto veni’. La metàtesi, ossia l’inversione dei suoni all’interno di una parola, è riscontrabile in diversi termini: crapa per capra, prèta per pietra, cèrqua anziché quercia, crasta’ al posto di castrare, crompa’ invece di comprare. Spesso le desinenze finali AIO ed AIA, mutano rispettivamente in aro ed ara: pagliaio → pagliaro; mugnaia → molenara; piattaio → piattaro; fornaia → fornara; ecc. I vocaboli dialettali che al singolare terminano in óno, al plurale cambiano in uni. Es. maglióno → magliuni; scarpóno → scarpuni; ‘mbruglióno → ‘mbrugliuni, salvo qualche rarissima eccezione.

Fonetica del dialetto cesense

Il raddoppio delle consonanti iniziali è un “vizio” di pronuncia tradottosi nella lingua scritta (bbicilletta = bicicletta, ggente = gente, ggesummaria = rosmarino). Si verifica anche nelle parole che seguono la preposizione semplice A (a ppèto = a piedi, a nnata’ = a nuotare, a ccasta = a casa tua); o in, solo se i termini iniziano per M ed N, (in mezzo = ‘mméso, in nome di Dio = ‘nnòm’ ‘e Ddio). La lettera J, presente anche nell’alfabeto greco e latino, nel dialetto cesense – come riportato – può assumere valore di consonante con suono “gli”, quando sostituisce il gruppo LLI. (Es. mojjica = mollica, cajjina = gallina). Quando invece deriva dalla trasformazione della lettera G, ha un suono intermedio tra questa e la I. ( Es. jatta = gatta, jòcca = chioccia, juvo = giogo per il traino). La consonante G viene spesso omessa, all’inizio, quando è seguita dalla R (‘rano = grano, ‘roppa = groppa, ‘rijjo = grillo). La L, quando precede un’altra consonante, si modifica spesso in R: àrboro (albero), carmo (calmo). La S, nel gruppo SC, mantiene lo stesso suono che ha in italiano (ruscio = rosso), ma diviene sibilante (s) e più dolce nel gruppo sc (cascio = formaggio, quasci = quasi, rascia = brace). La V, quando si trova all’inizio del termine ed è seguita dalle vocali O od U, spesso viene elisa (voce = ‘oce, vuoto = ‘ùeto).

Nel passaggio dal latino volgare al dialetto molte lettere e gruppi hanno mutato fonetica in modo sistematico. La G dura diventa J nelle parole ghiotta → jotta; gatta → jatta; ghianda → jjanna ecc. Il gruppo AVV muta spesso in abb. Es. avvicinare = abbecina’; avvitare = abbita’; avviarsi = abbiàrese… Come accennato, poi, la lettera L seguita da altra consonante si trasforma spesso in R. Ad es. LB muta in rb; balbettare → barbetta’; baldacchino → bardacchino; LC diviene rg; calce → carge, dolce → dorge. Altri gruppi di lettere seguono trasformazioni in modo regolare. Ad esempio: LD in ll (caldo → callo, caldaio → callara); LS e RS in rz (falso → farzo; perso → pérzo); LT in rt o rd (maltrattare → martratta’; svelto → sverdo); ND in nn (quando → quanno; tondo → tunno); NF in mb (confetti → combétti, confinare → cumbina’, rinfacciare → rembaccia’); NS in nz (l’insalata → la ‘nzalata; consolare → conzola’); NV in mm (invece → ‘mmece, inventare → ammenta’); PL in pr (supplicare → supprica’); RI in re (ricominciare → recomenza’, ricotta → recotta); RL in ll (prenderla → piglialla).

Termini antichi e latinismi

Fra i termini dialettali più antichi se ne annoverano molti oramai usciti dal gergo comune. Tra i più curiosi ricordiamo: accia accia = tessuto grezzo ricavato prevalentemente dalla canapa; ammarronàrese = rimanere con le ruote del carro incastonate fra le crepe del terreno; ajjiaccoja’ = fissare i bigonzi al basto o al carro tramite corde inserite in catenelle di legno; spreggiudicaziuni = pubblici annunci di nuovi matrimoni pronunciati dal parroco sull’altare; recónzolo = pranzo offerto ai parenti di un defunto nel giorno del funerale per  “riconsolarli” della perdita; prètia e macigna = strumenti usati per frantumare e sfibrare la canapa; vijjójo = cascàme del lino o della canapa in lavorazione. Esistono anche lievi sfumature e varianti dei termini in uso all’interno della stessa popolazione cesense; esse sono da ricondursi per lo più alla diversa origine di alcune persone che hanno portato con loro influssi e termini propri.

Il nostro dialetto, come del resto quelli dell’Italia centro meridionale, risente degli influssi della lingua latina dalla quale molti idiomi locali hanno preso la propria rudimentale forma. Qui si riportano alcune derivazioni. Il pronome isso = lui deriva da is = egli, il vocabolo còccia = testa trae origine da cochlea = chiocciola, lumaca e otepério = cosa mal fatta deriva da vituperium cioè vituperare = trovar da ridire, criticare, rimproverare. Inoltre si possono menzionare, a titolo esemplificativo: masséra = stasera (da magis sero); maddima’ = stamattina (da magis mane); inotte = questa notte (da ista nocte); mo’ = ora (da modo); óji = oggi (da hodie); ècco = qui (da hic); èsso = costì (da isthic); lòco = là, in quel luogo (da illuc); cétto = di buon’ora (da cito); ciriciòccola = cervice (da cervix e cochlea); concallàrese = arrossarsi per strofinio o fermentare (da concalere); copéjjo = piccolo barile (da cupella); énnicio = uovo indicatore, indice (da index); jènca = giovenca (da iuvencus/a); lappo = orlo, bordo (da labium); manóppio = covone (da manipulus); pèrzeca = frutto della pesca (da persicum); sellecqua = baccello (da siliqua); mantìo = tovaglia (da mantelium).

Lo stesso influsso è inoltre evidente nella forma di due articoli determinativi di genere maschile singolare: jo e lo.  Il secondo, in particolare, è usato per i nomi che indicano concetti caratterizzanti prodotti o sostanze che non hanno plurale, oltre che davanti a quei termini derivanti da neutri latini. Es. lo vino (vinum), lo salo (salis), lo pano (panis), lo lardo = lardum, lo sanguo = sanguis. Alcune parole possono inoltre prevedere entrambi gli articoli, assumendo significati diversi a seconda di quello utilizzato. Es. “lo piombo” = il piombo, inteso come metallo in genere e “jo piombo” = strumento del muratore; “lo férro” = elemento chimico e “jo férro” = ferro da stiro o quello da far cialde, oppure quello usato per ferrare le bestie. L’articolo lo accompagna anche i verbi, gli aggettivi e gli avverbi sostantivati (lo laora’, lo fabbrica’, lo malo campa’, “lo bbóno è bbóno e llo méglio è mméglio”).

Quelli qui riportati sono soltanto cenni di un argomento molto più ampio e complesso, oggetto di studio di linguisti, filologi e dialettologi. Questa breve analisi può comunque fungere da stimolo non solo per una valorizzazione del dialetto locale, ma anche per ulteriori ricerche e studi più approfonditi, come già avvenuto per alcune tesi di laurea e pubblicazioni scientifiche[5].
Per gli appassionati ed i curiosi, si riportano in allegato tutti i vocaboli elencati nel “Dizionario del dialetto cesense” di Osvaldo Cipollone (circa 6.600 termini) con versione in italiano e spiegazioni.


[1] Antonio De Santis e Terenzio Flamini, “Parole. Il colore, l’odore, il rumore” su lumenassociazione.it, Associazione culturale Lumen
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Dialetti_della_Marsica
[3] Giancarlo Sociali, “Il Celanese dalla lingua Osca a lingua originale dei Marsi”, su giancarlosociali.it, 14 febbraio 2018.
[4] Walter Cianciusi, “Profilo di storia linguistica della Marsica”, Avezzano, Banca Popolare della Marsica, 1988 e Ugo Maria Palanza, “Avezzano: guida alla storia e alla città moderna”, Avezzano, Amministrazione comunale, 1990.
[5] Ad esempio Laura Tramutoli, 2013, “La metafonesi morfologica nei suffissoidi di un dialetto mediano (Cese dei Marsi)”, Contributi di Filologia delll’Italia Mediana 26.

<Rielaborato da Osvaldo Cipollone, “Dizionario del dialetto cesense” (2006) e Wikipedia>


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