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I Caduti della prima guerra mondiale

[Storia delle Cese n.73]
da Roberto Cipollone

Il tema dei Caduti e delle vittime di guerra è da sempre delicato e di difficile perimetrazione. Per il problema delle fonti, anzitutto, che spesso risultano carenti e a tratti discordanti, ma anche per tutta una serie di dimensioni che non rientrano nella sfera prettamente documentale, ma attengono al risvolto umano, alla parte personale delle vicende e delle storie narrate.

Non è mai semplice scrivere di vite spezzate, per alcuni troppo brevi per stare su un libro, troppo lontane dalle luci per dirsi storia. Nel sacrificio dei nostri Caduti sta tanta parte della libertà che oggi sbandieriamo. Ma non era e non è nel mio intento rappresentare la dimensione epica della loro esistenza. Prima di essere eroi sono stati “figli”, chiamati come tanti a dare il proprio contributo al Paese, spesso loro malgrado. Figli che non hanno mai fatto ritorno a casa, o sono tornati con il pesante fardello di una salute compromessa, donata in sacrificio ad una Patria che non li conosceva. Numeri di matricola, soldati, spesso contadini passati dai campi agli accampamenti, sempre con la stessa dignità e lo stesso senso del dovere.

Figli strappati al proprio futuro, all’affetto dei cari; ragazzi di vent’anni cresciuti in un secondo e poi tornati bambini, inermi davanti alla miseria della guerra. Per tutti il criterio adottato è quello della “pertinenza” con Cese: per nascita, domicilio o residenza, familiarità stretta, origine. Nell’elenco, dunque, sono riportate persone che sono nate in paese (la maggioranza), o che avevano i genitori di Cese, o che qui vivevano pur essendo originarie di altre località (cognomi come De Meis, De Sperdutis, Nuccetelli sono stati “acquisiti” da altri borghi marsicani). Tutti i nomi, in ogni caso, parlano ancora alla memoria del nostro paese e conservano con esso uno stretto legame di “parentele” e di vicinanza.

La ricerca documentale

La prima richiesta ufficiale di liste dei Caduti fu inviata ai Comuni dal Ministero della Guerra attraverso la Circolare n.902 dell’8 giugno 1926. Già prima di questa data, tuttavia, alcune Amministrazioni comunali avevano provveduto a redigere i primi elenchi di “irreperibili, dispersi o scomparsi in combattimento”, spesso dietro richiesta delle Regie Prefetture locali. Gli Albi d’oro dei militari caduti, dati alle stampe nel 1930, contemplavano invece i nomi di tutti i soldati morti durante la guerra o successivamente (a causa di ferite o malattie), purché deceduti entro il 4 novembre 1919. I nomi riportati sui monumenti ai Caduti realizzati prima della diffusione delle liste ufficiali (ossia nei primi anni ’20), vennero spesso scelti “a discrezione”, facendo ricorso a notizie verbali assunte da concittadini e compaesani. Anche per questo motivo, al tempo mancarono all’appello numerosi Caduti. Focus sul monumento ai Caduti di Cese

In ogni caso, la definizione degli elenchi ha sempre seguito il criterio del Comune di nascita o di ultima residenza, e solo nel caso della Prima guerra mondiale si è scesi al dettaglio della frazione. Anche rispetto a queste linee generali, tuttavia, esistono numerose eccezioni. Per il dettaglio delle fonti utilizzate, si faccia riferimento a questo focus.

I Caduti di Cese nella Prima Guerra Mondiale

“Elenco dei Militari della frazione Cese morti in guerra”, documento ritrovato nell’archivio comunale di Avezzano e relativo ai soli Caduti della Prima guerra mondiale. Nell’elenco non sono riportati i nomi di Antonio Nuccetelli e Sabatino De Sperdutis, nativi di altri Comuni, e di Federico Marchionni, arruolato nell’esercito americano. Essendo il documento dei primi anni ‘20, mancano ovviamente tutti i Caduti della seconda guerra mondiale.

Tracce e testimonianze

I primi tre nomi dei diciannove riportati nell’elenco avevano un legame familiare molto stretto. Francesco e Martino Bianchi erano infatti fratelli, e cugini diretti di Felice Antonio Bianchi (chiamato Felice “j’appardadόro”). Su di loro non sono rintracciabili molte notizie. Si sa solo che Francesco Bianchi morì il 6 luglio 1916 sul monte Zebio, a soli 20 anni, per ferite riportate in combattimento. Martino fu invece fatto prigioniero a Pradamano, nel Friuli, e morì per malattia pochi mesi dopo la cattura, il 26 gennaio 1918, a Francoforte sull’Oder; aveva 32 anni. Pochi mesi dopo, il cugino Felice fu fatto rientrare in Italia del fronte balcanico, e ricoverato presso l’ospedale di Sulmona, perché colpito da arma da fuoco alla schiena, con danni rilevanti ad un polmone. A Sulmona sarebbe poi morto il 14 giugno 1918, lasciando a neanche 30 anni una moglie e quattro figli (Pasqua, Giacomo Vincenzo, Domenico Antonio e Rosamata).

Antonio Cipollone era invece figlio di Giuseppe (“Peppo dejjo Moro”) e di Loreta Di Matteo. Il nipote “Richetto” (figlio di uno dei fratelli di Antonio, Giulio), raccontava che «a quei tempi non avevano molte notizie, e non c’era neanche modo di trovarle. Si parlava di questo zio Antonio, che si era sposato con Veronica e che aveva perso la moglie al terremoto. Poi anche lui era dovuto partire per la guerra, appena qualche mese dopo la tragedia, ed era morto in battaglia qualche tempo dopo». Antonio Cipollone morì infatti in combattimento il 29 aprile 1916 nei pressi di Ronchi, a 31 anni.

Su Felice Cipollone non risultano reperibili informazioni. Si sa solo che morì a Sagrado (al confine con l’attuale Slovenia, vicino Gorizia) il 18 novembre 1915, a 34 anni, per ferite riportate in combattimento. La famiglia del padre (Carlo Giosuè) risulta estinta per mancanza di figli maschi.

Filippo Cipollone era invece figlio di “Bartolommè” e fratello maggiore di Palmerino “Bicilletta”. Su di lui si sa che nel 1917 venne ricoverato presso il Policlinico Umberto I di Roma, dove morì il 4 gennaio 1918, a neanche 25 anni, per tifo bacillare e meningite tubercolare.

Anche Oreste Cipollone morì per malattia (nell’ospedale Regina Margherita di Roma), il 17 luglio 1918, a 27 anni. Maria Cipollone “de Casciaro”, figlia di una delle sorelle di Oreste, Giuseppina, non ha conosciuto direttamente lo zio. «Però ricordo quello che raccontava mamma: che era stato ferito ad una gamba in combattimento, e che lo avevano portato a Roma per cercare di curarlo. La gamba però era già in cancrena, i medici non hanno potuto fare niente, e in breve è morto. Un’altra cosa che diceva mamma era che aveva una grande personalità. Gli piacevano la cultura e la musica, tant’è vero che aveva imparato anche a suonare il violino; questo particolare mi è stato raccontato anche da Lidia Petracca. Aveva diversi amici di spessore, anche nei paesi vicini, ma poi è partito per la guerra e non è tornato più».

Di malattia morì anche Vincenzo Cosimati a 35 anni, il 27 dicembre 1916, “in seguito a perniciosa malarica”, lasciando orfane Antonina e Annunziata, che già avevano perso la mamma Domenica nel terremoto del 1915. Rosella Petracca, figlia di Annunziata e di Giocondo, ricorda al riguardo: «Quando nonno è partito per la guerra, mamma e zia Antonina erano bambine (12 e 5 anni, ndr). Lui aveva già perso la moglie al terremoto, e prima di partire affidò le figlie a zia Caterina, sapendo che il rischio di non tornare dalla guerra era alto. Purtroppo non le avrebbe viste mai più».

Sabatino De Sperdutis era invece nativo di Castellafiume (ed è infatti ricordato anche nel monumento del paese natio). Morì per malattia sul monte Grappa il 5 gennaio 1918, ad appena 18 anni d’età. Dalle ricerche effettuate si può supporre che vivesse a Cese perché “adottato” informalmente da parte dello zio Carlo, che abitava in paese con la moglie Angela Diomira Tomei. Non si conosce infatti il nome della madre naturale di Sabatino, ma solo quello del padre (Vitaliano).

Vincenzo Di Fabio, figlio di Giuseppe e di Maria Immacolata Cipollone, fu colpito a morte nei pressi di Oslavia e morì a soli 21 anni l’8 dicembre 1915 “in seguito a scheggia di granata austriaca riportata al capo”. Le testimonianze dei suoi familiari non contribuiscono ad aggiungere dettagli sulla sua vicenda; si conosce però grazie a loro il luogo in cui è seppellito, ossia il Sacrario di Redipuglia.

Ettore Di Matteo, figlio di Cesidio e di Pasqua Patrizi, era cognato “acquisito” di un altro caduto, Luigi Marchionni, e fu dichiarato disperso sul Carso il 27 maggio del 1917, a 33 anni, quando aveva raggiunto il grado di caporal-maggiore.

Neanche su Lauro Di Meo si hanno molte notizie. Si sa che era figlio di Domenico De Meis e di Rosa Barbarossa; infatti nell’albo d’oro dei Militari caduti nella Grande Guerra è riportato come “De Meis Laurino”. Tuttavia non c’è dubbio che si tratti della stessa persona poiché coincidono sia i genitori che il luogo e la data di nascita e di morte (il 31 agosto del 1917, “in seguito a ferite”). Alla sua morte, la 62a Sezione di sanità inoltrò al Comune di Avezzano la lista di oggetti appartenuti al soldato e successivamente inviati alla famiglia: “borsetta di tela con corrispondenza e immagini religiose”, un coltello, una pipa di legno, uno specchio tascabile e la tessera militare di riconoscimento.

Ermenegildo Marchionni, figlio di Noè e di Filomena Marchionni, è cugino di altri due caduti, Vincenzo Marchionni e Lorenzo Patrizi (di Domenico). Dagli elenchi della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia risulta orfano in seguito al terremoto del 1915 e perciò affidato ad uno zio (sempre a Cese). Morì in combattimento sull’altopiano della Bainsizza il 30 agosto 1917, a soli 19 anni. La nipote Secondina Marchionni ricordava a suo tempo: «Zio Ermenegildo era fratello di papà ed era dovuto partire giovanissimo. Fino a non molti anni fa era ancora viva una delle sorelle, Marietta, la quale provò a fare richiesta della pensione di guerra del fratello, ma allora non era facile, e non la concessero né a lei né a nessun altro fratello. I genitori erano entrambi morti al terremoto, e quindi finì così».

Anche Federico Marchionni era cugino di un altro caduto, Oreste Cipollone. Alla chiamata alle armi del maggio del 1915 non poté rispondere perché si trovava ancora negli Stati Uniti, dove era emigrato qualche tempo prima; in seguito decise di arruolarsi proprio con l’esercito americano. Alcuni dettagli si sono acquisiti dai nipoti Federico, Lina e Pia, figli di Nazareno: «Zio Federico si era voluto arruolare con l’esercito americano, e proprio con le forze armate statunitensi era sbarcato in Francia, ed è lì che è morto in battaglia. Papà aveva rinunciato ad arruolarsi, nonostante l’opportunità di tornare gratuitamente in Europa, mentre zio Federico aveva deciso di cogliere quell’occasione; una scelta che purtroppo gli è stata fatale. Tra l’altro è morto nel corso di una delle ultimissime battaglie della prima guerra mondiale, il 7 novembre del 1918».

Su Luigi Marchionni, figlio di Ottavio e di Maria Restituta Cipollone, si hanno scarne notizie. Fu chiamato alle armi il 20 marzo 1918 e in pochi mesi si ammalò, morendo presso l’Infermeria di Giffoni Valle Piana, in provincia di Salerno, il 30 settembre 1918, a soli 18 anni.

Anche Vincenzo Marchionni, come riportato, era cugino di un altro caduto, Ermenegildo. Risultò disperso il 16 novembre 1917 “al fatto d’armi di monte Zomo”, in una delle più cruente battaglie della Grande Guerra. Aveva 37 anni e lasciava la moglie Elvira Micocci e tre figli: Giuseppe Antonio, Domenica e Polisia.

Antonio Nuccetelli era invece nativo di Villa San Sebastiano. Nell’albo d’oro della Grande Guerra è classificato come “Nuccitelli” Antonio (tale risulta infatti il cognome del padre), e con questo nome è riportato anche nel Monumento ai Caduti di Villa San Sebastiano. Nel 1917 da caporale divenne carabiniere ausiliario nella legione Carabinieri Reali di Ancona, salvo poi ammalarsi gravemente e morire a Iesi il 19 ottobre 1918, a soli 23 anni. Maria Nuccetelli raccontava che Antonio era fratello di suo padre Erasmo (‘Rasimuccio), aggiungendo: “So che è morto a Iesi, e che papà lo ricordava sempre, specialmente nella ricorrenza del 4 novembre. Qualsiasi cosa avesse da fare, interrompeva tutto per partecipare alla messa dedicata ai Caduti e ricordare così suo fratello. A Cese però lui non ha vissuto mai, a quanto so io; c’era sua sorella Angelina, che ha sposato prima Panfilo Cipollone e poi Antonio Bartolucci. Probabilmente per questo forte legame è ricordato anche nel vostro paese».

Tra i Caduti della prima guerra mondiale ci sono anche due omonomi. Lorenzo Patrizi, figlio di Domenico, è cugino di altri due caduti, Ermenegildo e Luigi Marchionni. Morì per malattia a 20 anni, il 12 Ottobre 1918, nel campo di prigionia di Mathausen. Anna Di Giamberardino, moglie di Lorenzo Patrizi “dejjo circhiaro”, ricordava a suo tempo: «Le uniche notizie che abbiamo avuto su zio Lorenzo sono quelle che ci ha trasmesso Don Francesco Turrino dieci anni fa, quando ha saputo, tramite la Croce Rossa, che è ancora seppellito lì in Austria. Il suo ricordo è vissuto anche nel nome di mio marito, che è stato il primo figlio maschio della famiglia nato dopo la guerra».

Il secondo Lorenzo Patrizi, figlio di Giulio, morì invece in combattimento sul Piave il 17 dicembre 1917, a soli 24 anni. Le nipoti Giulia e “Menecuccia” Cipollone avevano al tempo ricevuto alcuni dettagli a riguardo. «Il giorno in cui è stato ucciso, zio Lorenzo doveva portare i rifornimenti di acqua e cibo ai soldati impegnati in combattimento. Il pericolo però era alto, perché erano molto vicini agli austriaci, e sembra che anche il suo superiore gli avesse consigliato di non uscire. Lui però sapeva che i soldati stavano aspettando già da tempo ed erano sicuramente in grande difficoltà. Così prese il cavallo e uscì insieme a qualche altro compagno per raggiungere la prima linea. Dopo pochi metri però furono colpiti dalle scariche delle mitragliatrici nemiche, e non ci fu niente da fare. Questo fatto è stato riferito a Luigi Bruno, in un periodo in cui era ricoverato a Roma, da un soldato che era stato in guerra con zio Lorenzo e che aveva saputo che erano entrambi di Cese».

È proprio la dimensione umana a rendere queste storie straordinarie e intime al tempo stesso. Una dimensione che si affianca e si fonde con quella popolare, con quella sorta di fatalismo che ne accompagna ancora il racconto. È morto in guerra, punto. Perché la guerra, come le calamità, arrivava quando voleva, e non c’era modo di governarla. La preghiera, quella solo rimaneva. Nella stessa dimensione popolare rientrano anche quegli aspetti di tradizione familiare che, nel tempo, sono diventati tracce scritte. Mi riferisco soprattutto alla diffusa consuetudine, più volte incontrata, di ricordare i nomi dei Caduti nei nuovi nati della famiglia, con i quali si “rallevavano” i cari morti in guerra. È sicuramente questo uno degli aspetti più interessanti (e a tratti quasi sorprendenti) della ricostruzione genealogica legata ai diversi nominativi. In almeno 20 casi, infatti, si può individuare lo stesso nome del Caduto tra i discendenti diretti o tra i familiari. Un modo naturale, doloroso e assieme sentito, di non dimenticare quei cari morti troppo giovani.

Dettaglio dei Caduti di Cese nella prima guerra mondiale.

<Rielaborato da Roberto Cipollone, “Trentanove figli” (2014)>


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