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Cinquanta lire e ‘na seggia. La tradizione teatrale a Cese

[Storia delle Cese n.89]
da Isaia e Osvaldo Cipollone

Alla metà del XIX secolo un gruppetto di studenti di Cese volle cimentarsi con il teatro, riprendendo una bella tradizione iniziata probabilmente negli anni ‘20. Al tempo, proprio intorno agli anni ’50, si era resa disponibile la chiesa provvisoria del paese, denominata in seguito “chiesa vecchia”, poiché si era da poco tornati nella chiesa madre riedificata dopo la distruzione del terremoto. Quei locali liberi vennero così utilizzati per svolgere alcune attività della parrocchia: riunioni, catechesi, ma anche per iniziative di carattere culturale. In tal senso aveva preparato il fertile terreno il parroco Don Vittorio Braccioni, rimasto in paese dal 1921 al 1946. Lo stesso, fra l’altro, era anche una persona dotata di vasta cultura letteraria, pittorica e musicale. Durante i 25 anni di permanenza in parrocchia aveva così indirizzato i giovani di Cese, maschi e femmine, alle recite e a gareggiare in diocesi con le altre parrocchie, ottenendo dai propri allievi risultati di prestigio.

Nel bollettino parrocchiale del marzo 1925 si legge, tra le altre cose: “Così si sono potute avere due rappresentazioni, nelle sere del 1° e 2 febbraio, con molto concorso di spettatori. Vanno tutti lodati gli attori per la buona volontà impegnata a superare le numerose difficoltà di approfondimento. Si è distinto per la sicurezza della sua lunga parte il socio Di Pietro Vincenzo. Bene anche gli altri. La sezione filodrammatica è così costituita: Blasetti Franco – Cipollone Giuseppe di Berardino – Cipollone Salvatore – Cipollone Gregorio – Cipollone Guerrino – Cipollone Giuseppe fu Nunzio – Di Pietro Vincenzo – Ferrantini Vincenzo – Cipollone Severino – Marchionni Secondino. Siamo riconoscenti alle fatiche dell’istruttore e direttore di scena, il sig. Giocondo dott. Cipollone. Negli intermezzi furono rallegrati in platea da alcune battute tragicomiche stomachevoli. Preghiamo gli ignoti istruttori di voler scegliere migliori commedianti e più nobili commedie”.

Alcuni valenti e giovani studenti, ispirandosi alle passioni di Don Vittorio, impararono a suonare l’organo, a cantare i vespri ed a realizzare le prime rappresentazioni teatrali (dopo le estemporanee performance delle “satare”). Si menziona qualcuno di quei giovani per indirizzare il lettore verso l’epoca storica e le relazioni parentali: Francesco Marchionni (Tangredi), Isaia Ciciarelli (Sagrestano), Antonino Marchionni (Trombetta), Mario Cipollone (Segretario), Luigi Torge (Romeo) e via via gli altri. Fu così che presero in mano le redini dell’organizzazione i vari Remo Di Gregorio, Luigi Petracca, Augusto e Renato Cipollone, Rodolfo Marchionni e poi Dante, Vincenzo e Fernando Cipollone, Fernando Stati, Pietro e Mario Marchionni, solo per citarne una parte. Il nuovo gruppo, avvalendosi della collaborazione e della diponibilità di molti amici, degli aspiranti e giovani di Azione Cattolica, oltre che della supervisione del nuovo parroco Don Angelo Leonetti, dettero vita a nuove rappresentazioni di teatro. Fu proprio Don Angelo a scrivere e far rappresentare la prima farsa che si ricordi, calata su un ragazzo del posto, Sabatino Torge. Negli intermezzi delle recite, a volte, qualche provetta giovane o qualche ragazzo si esibiva in performance canore o declamava composizioni a memoria. Si ricorda a tal riguardo l’esibizione -ripetuta più volte – di Giovanni Cosimati, alias “Giuannono”, in grado di declamare a memoria il monologo in romanesco “Er Fattaccio in vicolo der Moro”, di Americo Giuliani. Giovanni in questi casi veniva sommerso di applausi, anche per le sue doti espressive oltre che mnemoniche. Realizzato l’apposito palco nella “chiesa vecchia”, i giovani poterono, così, esprimere il proprio fervore realizzando la prima rappresentazione teatrale denominata “I camaleonti”, a cui seguì una seconda che trattava la vita di San Sebastiano. In seguito, gli stessi giovani, dovendo iniziare l’università o avendo trovando occupazione, si allontanarono da Cese e lasciarono il testimone organizzativo ai nuovi appassionati.

A tale riguardo sono significativi i ricordi di Isaia Cipollone, che così scriveva nell’articolo “50 lire e ‘na seggia”.

Anni 50 ….la “ chiesa vecchia”, antico luogo di culto per i nostri antenati, è stato il nostro “teatro” con tanto di camerino, di scenografie, di sipario, di “pozzo” per il suggeritore e, naturalmente, di palcoscenico. Come non ringraziare i baldi giovani di quel tempo che, con un carretto trainato da due asinelli, si recarono ad Avezzano per caricare delle tavole (concesse dall’Ente Fucino) che servirono per montare il palco su cui, poi, essi stessi si sarebbero cimentati, improvvisandosi provetti attori? Né si può dimenticare il contributo del nostro tanto compianto parroco Don Angelo Leonetti che, oltre ai suoi preziosi consigli, verificava se il contenuto dell’opera da rappresentare fosse opportuno per la mentalità dell’epoca. Le tematiche trattate dai libretti teatrali proposti alla popolazione variavano da quelle religiose a quelle etico-sociali. Come è noto, in quegli anni gli svaghi non erano tanti e, per i giovani di allora, impegnarsi nella preparazione di una recita era un modo divertente per impiegare il tempo. Ci si ritrovava insieme e si discuteva di tanti problemi. Era soprattutto durante i mesi invernali, quando i lavori dei campi cessavano, che tutto questo avveniva. Copioni, scenografie, costumi, prove, tutto ci infervorava. Quante serate trascorse insieme per portare in scena il racconto scelto! Tra un panino e un bicchiere di vino, le prove si protraevano fino a tardi. Ovviamente non c’era un vero e proprio regista, ma aiutandosi vicendevolmente si riusciva, alla fine, ad allestire uno spettacolo apprezzabile. Le scene, data la penuria dei mezzi a disposizione, erano quasi sempre fisse (uniche) per tutti gli atti della rappresentazione. Tuttavia, grazie all’estro e all’inventiva di alcuni, spesso si ottenevano effetti davvero “speciali” ricorrendo all’uso di materiali poveri. Inoltre, quasi sempre un’immancabile “farsa”, componimento comico che riusciva a strappare sonore risate, concludeva lo spettacolo. Anche le ragazze, guidate dalle suore, amavano calcare le scene, ma era severamente proibito preparare una recita con personaggi maschili e femminili. Parroco e suore erano irremovibili: o tutti uomini o tutte donne! Per questioni d’incasso nascevano delle dispute per la scelta dei tempi delle varie rappresentazioni teatrali (Natale–Pasqua) ma con un po’ di buonsenso alla fine si trovava l’accordo. I più giovani, oggi, abituati alle comode poltrone delle sale cinematografiche moderne, sorrideranno nell’apprendere che gli spettatori erano costretti a portarsi la sedia da casa se non volevano restare in piedi. La gente accorreva numerosa e la “chiesa vecchia” era quasi sempre gremita. Il biglietto d’ingresso costava 50 lire! Siccome le rappresentazioni si svolgevano nelle ore serali, generalmente dopo cena, poteva accadere che qualche spettatore che durante il giorno aveva alzato troppo il gomito, purtroppo disturbasse la platea generando confusione e nervosismo. È seguito poi un periodo di stasi e questa bella tradizione è stata, per fortuna, ripresa dal solerte e capace Osvaldo, che ha portato il teatro all’aperto, scegliendo una piazzetta del nostro paese – quella “in sulle Mura” – che si presta molto bene a questo tipo di manifestazioni. Fin dalla sua nascita, il teatro è stato e sarà sempre lo specchio della società su cui si riflettono pregi e difetti della gente. Sarebbe un bene riscoprire e mantenere in vita questa bella tradizione, ne beneficerebbero tutti.

Come citato da Isaia, la tradizione teatrale di Cese ha vissuto una seconda primavera agli inizi degli anni ’90, quando si è tornati a rappresentare opere in italiano di autori più o meno noti e commedie dialettali. A fare da sfondo è stata spesso piazza “’n sulle mura”, ma alcune brevi rappresentazioni sono andate in scena anche all’interno della “chiesa vecchia”, all’esterno della chiesa madre (sempre in occasione di una festa dell’anziano) e in piazza Umberto Maddalena (in concomitanza con l’inaugurazione del monumento al Seminatore). Insomma, la tradizione teatrale di Cese non è solo storia del passato, ma vive ancora nell’animo di molti volenterosi appassionati.

<Rielaborato da I.Cipollone, “La Voce delle Cese” nr. 19, O.Cipollone “Don Vittorio – Abate di Cese” (2004), “Palcoscenico popolare” (2003) e ulteriori integrazioni>


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