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Le ferratèlle e gli altri dolci di Natale

[Storia delle Cese n.78]
di Roberto Cipollone, con contenuti di Osvaldo Cipollone e Roberta Torge

La cena di Natale non è mai una cena normale, e anche in passato si contraddistingueva sia per l’abbondanza che per la varietà del menù. Tuttavia, se i ricchi convivi oggi sono generalmente più frequenti, un tempo si limitavano a pochissime occasioni, come quelle dei matrimoni, di Capodanno, di Pasqua, della festa patronale e, appunto, di Natale. In questa ricorrenza, in particolare, oltre ai classici primi e secondi, abbondavano la frutta secca o appassita e i tipici dolci fatti in casa: ferratèlle, coperchiate, copète, ciammèlle, amaretti e biscotti. Se, però, le ricette ed i procedimenti di preparazione di amaretti e biscotti sono grosso modo quelli conosciuti, per gli altri dolci occorre in qualche modo attingere all’esperienza delle nonne.

Le ferratèlle

Le ferratèlle sono dolci tipicamente abruzzesi il cui nome viene fatto derivare dall’attrezzo di ferro necessario alla cottura. Un tempo l’utensile veniva portato in dote dalle spose, con le iniziali e la data di matrimonio stampigliate su una o entrambe le facciate. L’impasto si ottiene amalgamando in proporzioni: un uovo, due cucchiai di zucchero, due di olio extravergine, una scorza di limone grattugiata e cannella in polvere. La quantità di farina deve essere tale da evitare che l’impasto si attacchi quando si formano le tipiche “palline”, grandi più o meno come una noce. Le stesse sono poi collocate al centro del ferro caldo e ben oliato (o ingrassato con una fetta di lardo), che viene posizionato sul fuoco con un’opportuna pressione sui due manici della “pinza”. Dopo 20/30 secondi la parte acquosa evapora, segnalando la fine della cottura. Le cialde, tolte dalla piastra e riposte in un contenitore, possono essere consumate da subito. Le nonne adottavano un sistema del tutto singolare per scandire i tempi di cottura: in pratica, recitavano un’Ave Maria per ogni faccia da cuocere; al termine della preghiera, rimuovevano la ferratèlla inserendo un’altra pallina.

La copèta, la croccante, i nucci atterrati

Con le “ferratèlle” si possono confezionare anche altri dolci tipici abruzzesi, come la “coperchiòla” o “coperchiata”. Per preparare l’impasto da posizionare in mezzo alle cialde occorrono noci o mandorle tritate, che vengono poi mescolate ed amalgamate con miele caldo. Se ne prendono quindi piccole dosi con la punta del cucchiaio e si pongono tra due cialde, una delle quali funge da “coperchio” (da cui il nome del dolce).

Con gli stessi ingredienti del ripieno si prepara anche un altro dolce prettamente natalizio, la “copèta”, il cui nome (diffuso in Italia già dal 1287) viene fatto derivare dall’arabo “qubbayt”, che significa conserva dolce. Dopo aver amalgamato il composto con il miele caldo, si versa tutto su una superficie umida; quindi si assottiglia con il matterello e si porta ad uno spessore di circa mezzo centimetro. Quando la “sfoglia” si raffredda, si seziona a listelli grandi all’incirca 3×8 cm che si consumano come piccoli torroncini.

Identico è il procedimento per “la croccante”. A differenza della “copèta”, però, questa può essere servita anche in dose informi. Fra i suoi ingredienti, inoltre, si possono inserire anche i ceci o le nocciole al posto di mandorle e noci. Il tutto, inoltre, può essere amalgamato con lo zucchero caramellato, lo stesso che viene utilizzato per preparare un altro tipo di dolci, i “nucci atterrati”. Questi sono mandorle caramellate (o pralinate, che dir si voglia), preparate semplicemente con zucchero ed acqua all’interno di una pentola tenuta a fuoco medio-basso fino alla bollitura ed alla formazione dello strato caramellato. Come noto, il nome è legato al colore ambrato scuro (simile alla “terra”) del caramello che va a ricoprire le mandorle, “i nucci” appunto.

I fritti di latte

I “fritti de latto” non sono molto diffusi nella Marsica e Cese è uno dei pochi paesi in cui vengono ancora preparati. Per un litro di latte si usano solitamente 8 cucchiai di zucchero, 9 cucchiai di farina e una buccia di arancia o limone. Si mette a scaldare il latte e si aggiungono zucchero, farina e la buccia intera, intanto si gira fino a quando la crema che si forma non ha consistenza tale da staccarsi dalla pentola. Si bagna un po’ la tavola o un vassoio molto grande dove viene stesa la crema, che si lascia raffreddare e poi si taglia a rombi. Infine, ogni rombo viene infarinato, passato nell’uovo sbattuto e poi fritto in padella con olio di semi.

Le “ciammèlle” di Natale o “ciammèlle summe”

Le “ciammèlle” di Natale sono leggermente diverse da quelle usate in altre occasioni. Si preparano infatti solo con acqua, sale, “anasi” e farina quanto basta (“quanta se ne reccolle l’acqua”!). Si ammassa l’impasto e si dà la forma desiderata alle ciambelle; quindi “se ’ntroccoceno ajjo cotturo” nell’acqua bollente e quando salgono a galla si scolano e si fa un taglio su tutta la pasta. Infine si mettono a cuocere nel forno fino alla doratura o al grado desiderato.

A detta dei più anziani, il gusto dei dolci di un tempo era certamente diverso, da una parte per la genuinità degli ingredienti, e dall’altra per la rarità dell’occasione, che già dai profumi e dall’atmosfera riusciva a suo modo ad aggiungere “sacralità” al sentito momento del Natale.


Quella stessa atmosfera sembra rivivere ancora nei ricordi delle nonne come Elena Guidoni (89 anni), alla quale abbiamo chiesto di preparare le ferratèlle secondo la sua ricetta per poter ripercorrere usanze e memorie del Natale di un tempo, ricostruite qui nelle riprese di Michele Cipollone.

Ferratèlle e dolci di Natale – Elena Guidoni (Cese)

<Alcuni contenuti sono ripresi da testi di Osvaldo Cipollone e articoli a cura di Roberta Torge pubblicati su “La Voce delle Cese”>


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