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La ‘mbasciata, la dichiarazione, la serenata

[Storia delle Cese n.75]
da Osvaldo Cipollone

Un tempo, il percorso che conduceva dalla frequentazione all’altare era scandito da alcune tappe caratterizzate da diversi gradi di formalità.

La ’mbasciata

Nel momento in cui i familiari acquisivano informazioni certe sui ragazzi, il pretendente era costretto ad uscire allo scoperto ed a manifestare le proprie intenzioni alla famiglia della ragazza. Solo in questo modo poteva ufficializzare la relazione. Per formalizzare il legame doveva poi impegnarsi concretamente e mantenere un atteggiamento rigoroso, anzitutto organizzando la “’mbasciata”, una visita formale di un parente di lui presso la famiglia di lei. La scelta del “delegato” cadeva per lo più su chi aveva relazioni amichevoli con la famiglia in questione. Una volta accolto in casa, costui anticipava le intenzioni del giovane e ne esplicitava i buoni propositi e le eventuali referenze, note o meno. Metteva inoltre sul piatto anche eventuali assegnazioni di terreni, fabbricati ed altri beni. Era lui, in quel momento, il garante e, se i genitori della ragazza acconsentivano, concordava anche la data per l’incontro formale con il ragazzo stesso. Chi portava “la ’mbasciata”, in pratica, chiedeva anche di stabilire un giorno per la “dichiarazione” ufficiale. Quello che in epoca successiva è stato definito come il “chiedere la mano” della ragazza.

La dichiarazione

La dichiarazione era di fatto l’atto formale con il quale sanciva il fidanzamento vero e proprio. Si trattava, come detto, di un adempimento concordato a cui il giovane poteva assolvere da solo o assieme a qualche altro parente. Per questa circostanza il pretendente preparava quasi sempre un discorso da tenere a memoria; il più delle volte, però, l’emozione e l’imbarazzo portavano a parlare “a braccio”. In questo caso si poteva andare incontro anche a stravolgimenti di senso, il che poteva procurare ovvi imbarazzi anche a causa di espressioni inappropriate. Alla fine il padre della ragazza faceva le proprie raccomandazioni; poi, per sollevare tutti dall’empasse, proponeva un brindisi che chiudeva il preambolo. Si affrontavano, quindi, argomenti di carattere generale, con scambi che duravano per tutta la serata.

Da quel momento i ragazzi potevano farsi vedere insieme in pubblico, sebbene le frequentazioni rimanessero comunque “vigilate”. Gli incontri avvenivano di solito durante l’approvvigionamento dell’acqua alla fontana, o in altri sporadici momenti. Nel frattempo il ragazzo doveva provvedere all’acquisto dell’anello di fidanzamento (la fedina), da regalare alla “spósa” in un altro momento ufficiale.  Da quel punto in poi ai fidanzati era consentito sostare brevemente fuori della porta di casa, dove venivano rubate fugaci confidenze e caste effusioni. Ad ogni modo, anche quando il rapporto aveva assunto il valore di “fidanzamento in casa”, non era ammesso il contatto fisico davanti a terzi. Quando la ragazza andava a prendere l’acqua alla fontana, se era in compagnia del ragazzo il rientro doveva essere tempestivo. Se inoltre in famiglia era costume “recitare” il rosario, durante la presenza in casa il giovane era tenuto a partecipare. Nelle serate invernali, quando tutti si disponevano a semicerchio attorno al caminetto, tra il fidanzato e la giovane c’era quasi sempre un parente interposto. In quelle circostanze si affrontavano comunque discorsi generici ed ai fidanzati non era permesso neanche parlare sottovoce. Queste ed altre “stranezze” facevano parte dei costumi adottati un tempo nelle famiglie patriarcali e di estrazione rurale, ossia nella maggior parte delle case cesensi e marsicane.

La serenata

Al momento di organizzare la fatidica serenata si coinvolgevano anzitutto suonatori e cantori. C’è da dire, tuttavia, che i promotori non erano sempre i fidanzati di turno; esistevano infatti tipologie di serenate dal significato specifico, ed il primo fattore di distinzione era il numero dei brani eseguiti. Di fronte ad una singola canzone suonata, si capiva che il committente era un giovane che aveva discusso con la ragazza o era stato da lei respinto. In questo caso si parlava di “serenata per dispetto”. L’esecuzione di due brani caratterizzava invece la “serenata di fidanzamento”, eseguita quando il giovane aveva appena manifestato le proprie intenzioni ai genitori della ragazza desiderata. Quando invece, venivano suonati tre brani, si trattava di fidanzamento noto al pubblico, oltre che ai familiari. Erano proprio queste ultime le serenate che avevano luogo alla vigilia del matrimonio o nella settimana precedente. Chi non si atteneva a queste consuetudini, magari con un numero superiore di suonate, veniva considerato un disturbatore.

Con riferimento alle serenate romantiche o d’amore, invece, c’è da dire che l’apprezzamento da parte della fidanzata era sottolineato da inequivocabili segnali di complicità. Poco prima che terminasse l’ultimo brano, ad esempio, la ragazza accendeva e spegneva la luce della sua camera per tre volte. Le più temerarie si affacciavano addirittura alla finestra per un brevissimo saluto con la mano; quindi si ritiravano spegnendo la luce subito dopo. Queste consuetudini, ovviamente, non riguardavano i “fidanzamenti pilotati”, quelli nati cioè con grande anticipo e guidati dall’interesse economico. Le intenzioni, in quei casi, non nascevano da sentimenti amorosi, ma dal desiderio di accasarsi con chi possedeva proprietà, ossia la “róbba”.

<Estratto da O.Cipollone, “Le nozze di canapa” (2016)>


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