,

Le autolinee Cosimati

[Storia delle Cese n.65]
di Roberto Cipollone

Quello delle Autolinee Cosimati è un caso storico molto interessante, soprattutto perché racconta di un’imprenditorialità “di servizio” e “di famiglia” che nel tempo ha dimostrato di meritare il ruolo di rilievo riconosciutole nel territorio.

L’attività nasce nella seconda metà degli anni ‘40 su iniziativa di Carmine Cosimati, che decide di “avventurarsi” nel settore del trasporto locale aderendo alla ricerca che la Regione aveva avviato nel settore. Da lì, le Autolinee Cosimati arriveranno fino al 1° maggio 1980, giorno di entrata in vigore della legge regionale con la quale tutte le autolinee locali saranno assorbite dall’ARPA (Autolinee Regionali Pubbliche Abruzzesi). Nel mezzo, tanti anni di servizio che oggi rivivono soprattutto nei ricordi dei discendenti di Carmine e Rocco Cosimati e nelle memorie di Vincenzo Alfonsi.

Una delle figlie di Carmine e “Giovannina”, Maria, ha condiviso con il padre anche alcuni anni di lavoro. «Sono entrata da dipendente nel ‘77/’78», ricorda, «e a quel tempo eravamo in cinque, con papà, zio Rocco, Nando e Vincenzo, che ovviamente lavoravano già da un bel po’ di anni». Vincenzo, in particolare, aveva iniziato a 16 anni facendo il fattorino. «Come me», racconta, «in tempi diversi lo hanno fatto in tanti: Giovanni Galdi, Pietro “de Sor Nino”, Angelo Mellano, Virgilio, anche tuo padre (Osvaldo)… Facevamo i biglietti, aiutavamo a scaricare i bagagli… Poi ho preso la patente a 21 anni, l’età minima all’epoca, e nel ’64 sono diventato autista».

Le immagini di quei giorni ricorrono nei ricordi delle sorelle maggiori di Maria: Iride e Rosanna. «Le corse a quel tempo erano affollate non solo di studenti, ma di molti lavoratori che dovevano raggiungere Avezzano. La mattina c’erano due corse dirette alle 7:20, una condotta da papà e una da zio Rocco. Immagina quante persone…». Un’altra corsa successiva faceva tutto il giro per Corcumello, Villa San Sebastiano, Scurcola… «Sopra alla corriera non caricavamo solo le “canèstre” ma pure le biciclette, le tavole, tutto quello che serviva a chi andava a lavorare», racconta Vincenzo. «Poi c’erano le corse di ritorno… qui a Cese a ora di pranzo caricavamo quasi solo i maestri che dovevano tornare ad Avezzano dopo la scuola. Ma le prime corse della mattina erano sempre pienissime, anche perché c’erano le lattaròle; all’inizio caricavano i bidoni del latte direttamente sulla corriera, poi Carmine ha comprato “jo carrozzino”». Anche il carrellino in realtà ha una storia tutta particolare, rievocata oggi dal figlio di Carmine, Mimmo. «Il primo era un carrello aperto su cui poi sono state montate delle sponde di legno per contenere meglio i bidoni del latte. Papà lo andò a comprare a Napoli, nel periodo in cui stavano vendendo molti ex-mezzi militari lasciati dall’esercito americano, tant’è vero che sulla carrozzeria si vede ancora la scritta gialla su fondo verde e sul cerchio si legge l’anno di fabbricazione, il 1942. Papà lo carico direttamente con l’Isotta-Fraschini e lo riportò qui; poi, in un secondo momento, arrivò il “carrozzino” chiuso».

Grazie anche a quel “carrozzino” molte lattaròle di Cese hanno potuto sviluppare la propria attività e creare progresso; in generale si intuisce facilmente come il servizio di trasporto fosse cruciale, al tempo, per un piccolo paese come il nostro, chiamato – suo malgrado – ad affrontare una nuova fase economica e lavorativa nella quale i centri urbani andavano assumendo sempre maggiore centralità. «All’inizio avevamo due autobus (il primo in assoluto è stato l’”Isotta Fraschini” dal tipico muso allungato)», racconta Maria, «poi ne abbiamo comprato un terzo. Le tratte assegnate a noi erano quelle di Cese, del giro dei piani palentini e di Antrosano. Con uno degli autobus gestivamo anche i viaggi organizzati, praticamente tutte le domeniche, ad esempio con le suore (San Marino e San Franco erano tappe fisse…), per le gite e per le colonie estive, a volte anche per qualche matrimonio celebrato fuori. Io andavo quasi ogni domenica, spesso assieme a Nando… E poi c’era la 1100 per il servizio auto; e tante volte è stata necessaria per situazioni di emergenza…». Alcuni dettagli, al riguardo, vengono forniti da Oreste, il figlio maggiore di Rocco (dopo di lui, da Rocco e Lina sono nati Raffaele e Mario): «La concessione per il servizio auto era una cosa a parte rispetto al servizio di trasporto locale, ed era intestata a papà. La gestione degli autobus era tutta in capo a zio Carmine, ma come sai in queste cose le famiglie sono interamente coinvolte».

Un’attività cresciuta nel tempo, dunque, che necessitava ovviamente di un’adeguata organizzazione. «Uno degli autobus rimaneva in un garage in affitto ad Avezzano», spiega Maria, «un altro in piazza, nello spazio di nostra proprietà, e il terzo, quello che conduceva Vincenzo, a Santa Lucia». «All’inizio non c’era la rimessa come si vede adesso», specifica Vincenzo, «poi è stato fatto il garage. E la mattina dovevo svegliarmi ancora prima per cominciare a scaldare il motore. Mica c’erano i sistemi di adesso… Si viaggiava senza riscaldamento, e mi ricordo che avevamo una bottiglietta di antigelo per sghiacciare i vetri dall’interno!». Le difficoltà del periodo invernale ricorrono in gran parte delle memorie e degli aneddoti. «Una volta un autobus rimase bloccato al ritorno a Corcumello per la grande quantità di neve», racconta Oreste. «A quel tempo le strade erano bianche, e mica c’erano gli spazzaneve… quindi si dovette aspettare qualche giorno perché si sciogliesse un po’, e poi andarono a liberare l’autobus con qualche trattore». «Nel periodo invernale papà si svegliava di notte per andare ad avviare l’autobus in piazza», ricordano Maria, Rosanna e Iride «e doveva accendere un braciere sotto al motore per scaldarlo un po’. Per metterlo in moto a volte era necessario avviarlo in discesa verso l’Ara, con la strada che non era ancora asfaltata; all’Ara faceva inversione e risaliva in piazza per caricare». Maria ricorda inoltre che come officina veniva utilizzata quella che si trova ancora oggi su via Roma, all’ingresso di Avezzano. «In più c’era un accordo di reciprocità con gli altri gestori (Micangeli, Liberati, Passalacqua…), in caso di indisponibilità di un mezzo». «Tra di noi ci si aiutava», conferma Vincenzo. «Ricordo che una volta un autobus di Passalacqua aveva i tergicristalli rotti e doveva arrivare giù nella Valle Roveto in una giornata di pioggia fortissima. Insomma passò qui a Cese, si prese un autobus dei nostri, caricò i passeggeri e così poté proseguire, lasciando il suo autobus qui».

«Carmine era un amico, c’è stato sempre un bel rapporto tra di noi», continua Vincenzo, «a volte ci poteva stare qualche rimbrotto ma finiva lì, l’amicizia rimaneva sempre. Quando veniva qui a casa facevamo sempre tardi a chiacchierare… quando andavo io da lui la sera, a volte per fare i conti insieme, capitava che si addormentasse per la stanchezza. Ci ha sempre tenuto tanto e non si è mai risparmiato per questo lavoro». «Papà era molto riservato e non faceva trasparire niente», ricorda Maria, «però è ovvio che avesse le sue preoccupazioni. Ogni sera si metteva nello studio a fare i conti ed a preparare le “borzette” con i biglietti ed il fondo-cassa per Nando e Vincenzo». «Alla fine del mese venivano tutti a casa per rinnovare l’abbonamento», raccontano le figlie di Carmine. «Stavamo lì nella saletta e li gestivamo uno per uno, almeno quelli di Cese. Per quelli di fuori si faceva una lista con nome e cognome e poi Nando consegnava gli abbonamenti a bordo». «Quello di papà non era solo un lavoro», aggiunge Iride, «ma un servizio che ha contribuito a far progredire il paese, che altrimenti sarebbe rimasto isolato. Purtroppo, però, papà è stato personalmente penalizzato dalla regionalizzazione dei gestori locali nell’Arpa, poiché non era previsto che i titolari delle imprese venissero assorbite nella nuova realtà regionale, come invece era per i dipendenti. Solo dopo diverse richieste e un iter complesso papà è stato assunto, seppure con un ruolo non adeguato».

Un caso storico che ha coinvolto direttamente la famiglia Cosimati, dunque, ma che ha rappresentato un pezzo di storia importante per molte altre famiglie e per tutta Cese. Perché in fondo le tracce di quelle “postali” e “corriere” non si sono perse sulle strade bianche, ma hanno accompagnato tanti nel proprio tragitto, lungo percorsi di vita che si sono fatti futuro.

<Articolo originale basato sulle testimonianze riportate>


Una replica a “Le autolinee Cosimati”

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…