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Il castello che non era un castello

[Storia delle Cese n.63]
da Mario Di Domenico

Nella toponomastica di Cese antecedente il terremoto del 1915 figura una stradina con un nome particolare: Via Castello, corrispondente alle attuali Via Leopardi e Via Manzoni, nei pressi della chiesa. In paese, però, non ci sono mai stati manieri o fortezze, dunque quel “castello” non può essere altro che l’antico monastero benedettino, divenuto poi palazzo vescovile e munito di alte strutture che consentivano anche uno schieramento difensivo a protezione dell’antico tempio. Ecco cosa scrive a riguardo Mario Di Domenico nel suo “Cese sui piani palentini”.


Nel secolo XV Cese fu frequentata quasi stabilmente dal Vescovo appena dopo il restauro della chiesa. Dà conferma di ciò il Corsignani: “… il palazzo attiguo al tempio di Cese era già stato convento dei Cassinesi e da poi divenne abitazione dei medesimi Vescovi, per la qual cosa leggiamo varie bolle degli antichi marsicani prelati spedite nella detta terra delle Cese”.
Attraverso una scala segreta – ci informa il Corsignani – si poteva accedere direttamente all’interno del palazzo vescovile. Il palazzo era chiuso da una porta intagliata secondo lo stile gotico – quindi simile a quella posta sulla porta d’ingresso della chiesa – e si accedeva ad esso attraverso un ponte di pietra”.
Il ponte, probabilmente di modeste dimensioni, serviva a spianare il passaggio sul piccolo fossato che circondava l’edificio. Le stanze del palazzo, site sul piano superiore alla sacrestia, avevano le pareti ornate di antichi dipinti raffiguranti Cristo lodati tra i Santi. Tale notizia è stata riferita dalla signora Pasqua Di Matteo che ha abitato da bambina, prima ancora del terremoto del 1915, nelle stanze del palazzo sovrastanti la sacrestia ed ormai, già al suo tempo, destinate alla disponibilità della proprietà privata[1].
Il palazzo vescovile, come tutti i monasteri benedettini, era strutturato in modo tale da consentire lo schieramento anche difensivo contro eventuali invasori o depredatori del tempio. La torre campanaria era stata infatti munita, dalla pietà degli abitanti di Cese, di una bellissima campana recante la data 1321 (erano gli anni della peste in Abruzzo e nel meridione d’Italia.
Durante il periodo tellurico marso degli anni 1703-1706, cadde definitivamente in rovina il palazzo vescovile. I ruderi, o ex celle dei monaci benedettini, furono abbandonati alle ortiche e negli anni divennero pericolosi per l’incolumità pubblica, tanto che i Massari del comune di Cese nel 1779 avanzarono richiesta di intervento straordinario per quei brandelli di mura che pericolosamente rischiavano di crollare sulle prospicienti abitazioni civili[2].


Per quanto riguarda la fonte toponomastica antecedente il terremoto del 1915, è interessante notare che in corrispondenza della citata Via Castello viene specificato che “manca il numero al supporticato della chiesa”, e che nell’antica Via Sopra Santi (attuale via XI Febbraio), al numero 2 è riportata la “casa dell’abate Don Antonio De Angelis (facente parte dei numeri 2 e 4 di Via San Rocco)”. Si può dunque immaginare che il monastero dei benedettini occupasse un’ampia porzione di terreno e che la parte trasformata poi in palazzo vescovile arrivasse fino all’antica Via Sopra Santi. D’altra parte risulta che la torre campanaria, posta pressappoco dove è attualmente collocato il monumento all’alpino, avesse un cunicolo di collegamento con lo stesso palazzo vescovile. O, se volete, con il “castello”.


[1] A tale riguardo è da segnalare che già nel 1700 alcune stanze venivano concesse in uso ai privati. Esiste infatti un atto notarile del 28 gennaio 1734 che formalizza l’enfiteusi per una stanza adiacente la sede vescovile presso la canonica di Santa Maria delle Cese, redatto dal “regio notaro” Spina di Avezzano in favore di Domenico Cianfarano (fonte: Osvaldo Cipollone, “Orme di un borgo” pag. 76)

[2] Archivio Diocesano dei Marsi, fondo B, 49, fasc. 1046, an. 1779

<Rielaborato ed arricchito da M. Di Domenico, “Cese sui piani palentini” (1993)>

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