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L’antica chiesa di Cese. Tesori salvati

[Storia delle Cese n.29]
da Mario Di Domenico

Alcuni “tesori” si sono fortunatamente salvati dalla distruzione dell’antica chiesa di Cese nel terremoto del 13 gennaio 1915. Il più noto e prestigioso è senza dubbio la tavola della Madonna delle Cese di Andrea Di Litio, ma in paese ci sono ancora oggi altre testimonianze artistiche poco conosciute, come i resti dei portali, i capitelli, un frammento della porta e il tabernacolo. Anche alcune suppellettili sacre, come la croce processionale del XIV secolo ed un turibolo d’argento, sono sopravvissute al terremoto; oggi sono conservate nel Museo di Arte sacra della Marsica, a Celano.

Il portale della chiesa di Cese conservava la caratteristica tipica dei portali delle chiese marse ancorate allo stile romanico, sia pur arricchito nei particolari delle strutture architettoniche inserite dallo stile rinascimentali: pilastri, colonne, archivolti e così via. Come tutte le grandi chiese, aveva più di un ingresso: il “portale degli uomini”, sulla facciata principale, e quello “delle donne” sulla parete laterale. I resti di entrambi i portali sono stati rimurati sulla parete laterale della ex-chiesa dedicata a San Vincenzo. Il “portale degli uomini” risale al 1532, data di completamento della ristrutturazione della chiesa. Le sbalze sono ricavate tra bachi da seta semiaperti a coronamento ornamentale dei volti alati ed inespressivi dei cinque angeli. Nelle curvature interne dell’archivolto sono lavorate le formelle con più quadrature al cui interno è rilevata una stella lucente, simbolicamente figurativa della volta celeste. Ogni stella è formata da otto punte, di cui quattro cardinali maggiori. Il portale delle donne era meno lavorato e composto di piccole sbalze arcuate entro la forma rettangolare della struttura. In alto, sopra l’arco, erano effigiati i volti di due putti alati.

L’ingresso principale era chiuso da una porta di sambuco, con intagliature finemente rilevate nelle bordature bloccanti le otto posterule. Il disegno era composto secondo lo stile gotico, con un intreccio di vitigni privi di foglie costantemente intercalati da una perla a rilievo. Nelle due posterule superiori, una sull’anta fissa e l’altra su quella mobile, erano disposte a rilievo l’insegna episcopale dei Maccafani e l’effigie intera della Madonna coronata, con ai piedi la falce della luna ed in braccio il bambino. Tutte le posterule, quattro per anta, erano riquadrate a sbalze. Nel complesso la porta poteva dirsi ancora discretamente conservata nell’anno 1903, quando Piccirilli la fotografò. Oggi è rimasto un solo frammento relativo alla formella con la Madonna ed il Bambino.

I capitelli oggi inseriti nella riproduzione del portone d’ingresso principale non sono ad esso pertinenti, in quanto destinati originariamente alle arcate interne, o alla composizione absidale della chiesa. Nel rispetto delle tradizioni romaniche, i capitelli sono composti da foglie di acanto e rappresentazioni mostruose col corpo di aquila e la testa di giovane donna. Essi sono del tutto simili a quelli disposti sul portale degli uomini nella chiesa di Trasacco dedicata ai SS. Cesidio e Rufino. Sul collo le figure animalesche dei capitelli cesensi portano due linee di perle rilevate. La coda lunga ed affusolata termina attorcigliandosi su due elementi floreali, posti tra lo stelo sottile di un vaso sulla cui sommità sono raggruppati pomi e melograni. Il tutto è corredato dalle immancabili foglioline, fiori, grappoli e foglie d’acanto rampanti lungo il fusto del capitello. Nelle curvature interne delle pietre sono invece lavorate le formelle quadrate e sbalzate al cui interno sono rilevate singolarmente le stelle lucenti. Queste sono poste simbolicamente a raffigurare la volta celeste.

Sulla parete della ex-sagrestia sono state rimurate anche le lastre marmoree raffiguranti gli stemmi araldici delle famiglie patronali della chiesa. Tra essi figura quello della famiglia Maccafani, comprendente nella parte alta un gallo crestato e nella parte inferiore tre palle disposte a triangolo. L’altra insegna raffigurante la stella nascente tra due colline forse fu dei Crescenzi, di nobile prosapia romana. Infine v’è l’arma gentilizia di casa Colonna.

La lastra marmorea del tabernacolo, rimurata nella chiesa principale di Cese, è una pregevolissima particolarità architettonica relativa al restauro dell’antico tempio conclusosi nel 1532. È stata ritrovata in una stalla, dove era stata accantonata dal 1915[1]. Mentre nei capitelli i bachi da seta sono semiaperti, nella lastra del tabernacolo sono rappresentati aperti ed allineati lungo la trave che sormonta idealmente le colonnine laterali. I capitelli sono pregevolmente lavorati son movimenti floreali di vitigni, foglie e piante di grano che si allineano ed attorcigliano intorno allo stelo di una finissima coppa in cui arde il fuoco eterno. La lastra è pregevolissima nella forma e raffigura in prospettiva nel pavimento la forma ed il disegno dell’antica soffittatura del tempo cesense, composta da cassettoni quadrati alternati a quelli tondi. Sulla base della lastra è cesellato un calice dalla forma molto semplice e lineare, privo di stelo, con un cubo umbonato e la base quadrangolare, lateralmente abbellita di un fiore per lato. La porticina in ferro che chiude il tabernacolo è sovrastata da una colomba in altorilievo simboleggiante lo Spirito Santo. Sulla trave di copertura della struttura rappresentata è la scritta in greco: Olio del Sacro viatico”.


[1] Il suo ritrovamento è frutto del caso (la segnalazione è stata del Dott. Alessandro Tomei), ma anche della buona volontà di coloro che hanno organizzato le feste patronali cesensi, nel mese di agosto dell’anno 1989.

<Rielaborato da M.Di Domenico, “Cese sui piani palentini” (1993)>


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