[Storia delle Cese n.24]
da Fulvio D’Amore, Osvaldo Cipollone, Ermanno Grassi e Pino Coscetta
Il fenomeno del banditismo/brigantaggio antispagnolo nacque agli inizi del 1500, si sviluppò rapidamente in tutto il Regno di Napoli e arrivò in Abruzzo verso la fine del secolo. Qui ebbe come capo incontrastato Marco Sciarra, detto “re della campagna”, il quale si autoproclamava commissario mandato da Dio contro gli usurai e contro gli “affamatori del popolo”. Le sue imprese passarono alla storia anche per i numerosi omicidi e l’efferatezza delle azioni.
Il 25 aprile del 1592, in particolare, la banda di Sciarra saccheggiò e mise a ferro e fuoco l’antico villaggio di Gioia, causando danni stimati attorno alla notevole cifra di 100.000 corone. A capo di quella banda, che secondo alcune ricostruzioni contava ben 700 uomini, c’era un tale don Baldassarre Quadrano, prete di Santa Maria delle Cese, anche lui fuoriuscito.
Riporta Fulvio D’Amore: «Per la verità, nell’anno 1592, se mal me ne ricordo, vennero li banditi da qualche parti, ed il capo, per quanto s’intendea, era Marco Sciarra. (…) e fecero grandemente danno d’arrobbo, ammazzar gente e a bruciar case (…) con detti banditi vi andava Don Baldassarro Quadrano delle Cese… Detto Don Baldassarro, fatto l’arrobbo e danno a Gioia (…) menava seco una somarella carica di robbe (…) e vi era ancora una testa di vitella pelata, et essendo visto dalle nostre genti tra i quali vi era il Capitano Baronio di Sora (…) fu preso (…) per volerlo arrestare, quale cercò grazia per l’amore di Dio».
Il giorno dopo l’avvenuta carneficina di Gioia, la sentinella messa di guardia sulle mura di Trasacco «cominciò a gridare et a dire che calavano gente dalla montagna (…) Et uscita fore (…) trovorno essere D. Baldassarro delle Cese” il quale fu subito catturato con tutta la refurtiva “e dette robbe forno portate alla chiesa di S. Cesidio» e messe a disposizione del vescovo dei Marsi Matteo Colli.
Il Quadrano alcuni anni prima era stato investito, da parte dello stesso episcopo, del “canonicato et prebenda della chiesa di S. Maria delle Cese, vacante per morte di Don Ercole Riccio”. Ma evidentemente egli non aveva proprio la vocazione per fare il prete.
Scrive ancora D’Amore: “Esaminando il carteggio del Processo, inoltrato alla Curia pontificia, si evidenziano alcuni scorci d’epoca davvero interessanti e, soprattutto, l’inquietante figura di don Baldassaro Quadrano. Dalle testimonianze è un ecclesiastico ribelle, smascherato dal reverendo Rosati che anni prima lo aveva già denunciato al Tribunale della Vicaria di Napoli come reo sacrilego, sorpreso a rubare oggetti preziosi persino alla sacra immagine della Madonna: «et più volte ha fatto di questi atti, et io sempre come religioso mi son posto in mezzo, tra il popolo delle Cese, et li pastori, sopportando la sua mala natura».
Nel dettagliato resoconto si rileva che il prete di campagna aveva spesso ospitato nella sua parrocchia famosi banditi dello Stato pontificio, come: «Pacchiarotta, Pietrangelo, La Morte» e altri fuorusciti napoletani fino al giorno prima dell’attacco ai villaggi marsicani. Fuggito Marco Sciarra dalla Marsica (diretto a Venezia), il sacerdote ribelle venne tradotto nelle carceri di Avezzano e poi carcerato in attesa di giudizio «nella Rocca di Scurcola, dove stette molto tempo, et per le preghiere d’altri, detto Vescovo lo fece scarcerare». Scampò alla pena capitale per le suppliche dei parenti e delle benevole attestazioni di Alessandro Febonio, Giovanni Antonio Catarinacci e don Sutio Bartolucci che cercarono di attenuare le sue responsabilità nel grave evento. Passati alcuni mesi dal saccheggio di Gioia, qualcuno si recò alla Curia di Pescina, per riavere indietro il somaro che aveva portato in groppa la refurtiva di don Baldassarre Quadrano: «Venne uno di Gioia che dicea esser padrone della somara per ricuperarla, et trovò esser morta, e che fosse stata per la fatica, o per l’infirmità»”.
Una conferma delle vicende e del ruolo detenuto dal prete bandito delle Cese si ritrova in diverse ricostruzioni storiche locali. Scrivono i professori Ermanno Grassi e Pino Coscetta: “Il passo di Campomizzo e quello di Gioia, dalla fine del Cinquecento, erano presidiati dalle bande di Marco Sciarra e da quella di un prete spretato, un certo Don Baldassarre Quatraro (sic) il quale, per incutere maggior terrore si faceva passare per lo stesso Sciarra. Questa “tecnica”, peraltro, veniva applicata con successo anche da altri malfattori alimentando cosi la leggenda di Marco Sciarra, bandito gentiluomo, presente in ogni dove. A testimonianza di quei tempi difficili troviamo ancora oggi su molte case di San Sebastiano alcune “bocche da fuoco”, quelle lunghe feritoie che partendo dal pavimento del piano superiore fuoriescono a lato del portone dell’abitazione; le feritoie consentivano agli occupanti della casa di fare fuoco sui malviventi senza esporre la propria persona alle fucilate dei banditi. […] Il Vescovo dei Marsi, Monsignor Matteo Colli, in una relazione datata Pescina 3 novembre 1594, cosi scriveva: «Ho fatto molte visite pastorali, ma poi ho dovuto desistere per il pericolo rappresentato dal gran numero di briganti che infestano tutta la Diocesi e la provincia, e in certo qual modo la possiedono. A ferro e fuoco hanno trucidato più di centoventi uomini. Nella Terra di Gioja hanno depredato il denaro, bruciato i magazzini e distrutto quasi tutto, arrivando a taglieggiare i poveri abitanti della zona per un valore di centomila Corone»“.
In tale contesto, dunque, il “prete bandito” delle Cese ebbe un ruolo di primo piano, sebbene con accezione segnatamente negativa.
<Rielaborato da Fulvio D’Amore, “La Marsica tra il vice Regno e l’avvento dei Borboni (1504-1793). Vita pubblica, conflitti e rivolte”, Osvaldo Cipollone, “Un’eco di note e di passi”, Ermanno Grassi e Pino Coscetta, “Il Paese della memoria – Storia di San Sebastiano dei Marsi”>
