[Storia delle Cese n.19]
da Mario Di Domenico, Hubert Devijver e Frank Van Wonterghem
Il simbolismo funerario nei monumenti sepolcrali è una costante dello spirito religioso di tutte le genti, in particolar modo di quelle antiche. Per la gente comune e di medio rango, la stele si componeva solitamente del solo testo rituale riproducente i dati anagrafici del defunto. Non rara era una breve elegia a perenne memoria incisa dentro un semplice riquadro graffito o una cornice a più sbalze.
Secondo questa breve premessa, le epigrafi cesensi si possono attribuire a persone di rango medio-elevato. Risultano infatti composte dalle sole linee di testo con raffigurazioni simboliche di comune fattura.
Ben cinque sono le stele funerarie testimoniate nel territorio di Cese. Una è ancora conservata nel museo epigrafico di Avezzano con il testo in parte eroso; due sono riportate dal Mommsen e due sono in Corcumello con dubbia provenienza cesense.
1) CIL IX 3949
DIIS. MAN. SACR.
L. TITIUS . L. FIL. FAB
NAE IIIIVIR . IVRE . DIC.
QVAEST. R. P. CVRATOR
APVD . IOVEM . STATOREM
CVR. ANNONAE
………………
…………
……… CVRATOR
APVD IOVEM STATOREM
La stele più importante è andata purtroppo perduta e può collocarsi, similmente alle altre nella Marsica, tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C.
Dell’epigrafe si sono perse le tracce dal terremoto del 13 gennaio 1915. Non è da escludere che sia stata distrattamente riutilizzata dai muratori per la ricostruzione dell’abitato. Il Febonio la definisce “caenotaphium in permagno lapide”. Le sue dimensioni potevano perciò assumersi intorno a 150 cm di altezza, 80 cm di larghezza e 50 cm di profondità.
Riporta il Febonio che “sempre nella località detta le Grottelle, fu rinvenuta una antica lapide marmorea, risalente ai tempi di Lucio Tizio, la quale scrittura appare in più punti erosa”.
Il Mommsen, nella sua nota raccolta di iscrizioni latine riporta entrambe le versioni del Febonio, omettendo le parti dubbie non conciliabili con l’intero complesso dei monumenta epigraphica rinvenuti nell’area palentina. Il Di Pietro, che non ha riprodotto il testo dell’epigrafe, si è limitato alla sola notizia della sua ubicazione: “Il marmo che si osserva dentro la chiesa della Madonna della Rafia delle Cese, che rammenta Lucio Titio curatore, a quest’antichità e potenza allude con sicurezza” . Il Corsignani nel 1783 l’aveva così individuata: “Vicino al fiume Rafi sta situata la picciola cappella della Madonna pure miracolosa, di cui non abbiamo altre notizie; confinando colla terra di Ponte, Risondolo, con varie scaturigini di limpidissime acque; e non troppo lontano videsi un marmo col seguente tenore (annota il Febonio e prosegue) che allude a prefetti dell’annona od a questori colla menzione del console Giulio; benché non possa il restante perfettamente capirsi per le lettere in parte erose ”.
La lapide cesense aveva entrambe le funzioni di cenotafio e loculo funerario vero e proprio.
Lucio Tizio apparteneva alla tribù Fabia ed era un funzionario della cosa pubblica (linee 4, 6) con potere giurisdicente (17). Il ramo di attività pubblica in cui Lucio Tizio esercitava la sua funzione era quello dell’annona. In pratica egli controllava, fermava e se necessario faceva arrestare i frodatori delle misure, pesi e monete nei commerci e scambi economici. Non ultimo, esercitava funzioni esattoriali e daziarie.
2) CIL IX 3933
D . M . S .
L. AVIDIO . L. F. F. SVC
CESSO . VR. D.
(reliqua evanurunt)
“Agli Dei mani sacri, Lucio Avidio, figlio di Lucio Successo della gente Fabia, quattorviro iuredicente”.
I Marimpietri di Corcumello, che possedevano numerosi terreni nei piani palentini, rinvennero in una loro vigna in Cese questa lapide che poi trasportarono a Corcumello. Sulle pareti laterali si è conservato uno solo dei due anelli di circa 20 cm di diametro. Il testo è raccolto dentro una cornice a più riquadri. La cimasa, a forma di tetto, presenta al centro un’immagine floreale contenuta in un piccolo cerchio. La stele è corredata di due speroni laterali alla base del tetto. Uno di essi è andato irrimediabilmente perduto. La parte bassa della lapide è stata parzialmente sostituita da una colata di cemento. L’intera struttura ha le seguenti misure: 155 cm di altezza, 96 di larghezza e 60 di profondità.
La lapide conferma in Lucio Avidio della tribù Fabia la presenza degli Avidii nell’agro palentino albense. Anche questo personaggio, come il precedente, aveva funzioni di quottorviro giurisdicente. La lapide cesense estende la pertinenza degli Avidii (dai quali si fa derivare le origini di Avezzano, come “Fundus Avidianus”) in un frazionamento agricolo-territoriale molto più esteso e comprensivo anche di questa parte dei piani palentini.
3) CIL IX 4048/9
N / O . /// HOSPIT
VNDARAVLI
III NIIV
VIXIT AN
IVNSAIV
IIS
Questa stele è l’unica, tra le altre ora esaminate, che conserva l’indicazione dell’età del defunto: VIXIT AN(nis). Il testo è di dubbia ricostruzione. Nella prima linea è riferita comunque una interessantissima informazione che può riassumersi nel vocabolo HOSPIT(alis). È la conferma della presenza in questi luoghi di un ricco ed importante personaggio capace di relazioni clientelari ed economiche.
4) e 5) Fregi d’armi
Dell’esistenza di questi due fregi cesensi, non registrati dagli epigrafisti, ci informa il Di Pietro: “I due ceppi con i stemmi consolari si veggono nel piccolo casino edificato prima di entrare alle Cese dalla parte di Cappelle dai signori Marimpietri di Corcumello. Questi erano in due parti di quel tenimento ma poi si sono colà trasportati”.
Esiste poi un’ara funeraria non classificata ma dettagliatamente analizzata da due ricercatori, Hubert Devijver and Frank Van Wonterghem, all’interno di una pubblicazione dedicata.
ARA FUNERARIA DI POPULENUS NATALIS
Nel 1882 venne resa nota dal Garrucci un’iscrizione letta con molta fatica su un’ara funeraria posta accanto al portone della vigna Tomei alle Cese (comune di Avezzano, vedi carta figura 3) . Stranamente il testo, già mancante nelle Iscriptiones Regni Neapolitani Latinae (Liepzig 1852) del Mommsen, non fu neppure accolto nel volume nono del Corpus Inscriptionum Latinarum (Berlin 1883). In seguito l’ara fu trasportata ad Avezzano, insieme ad un’altra rinvenuta nel territorio delle Cese (CIL IX 3933), e posta accanto all’ingresso del Museo Civico. Nel catalogo delle epigrafi di questo museo, l’Orlandi non osava presentare una lettura dell’iscrizione, giudicata “illeggibile”. Preparando una revisione critica del materiale epigrafico di Alba Fucens abbiamo studiato anche il monumento in questione e mediante un calco siamo riusciti a restituire la maggior parte delle 10 righe del test. Nello stesso tempo ricerche di archivio, condotte da M. Buonocore nella Biblioteca Apostolica Vaticana, hanno riportato alla luce nel codice Ferraioli 513 f.30 una trascrizione della stessa epigrafe – risalente all’inizio del secolo scorso – alquanto diversa da quella pubblicata dal Garrucci e più conforme alla nostra restituzione basata su autopsia.
Dato che il testo costituisce un documento importante per il sevirato di Alba Fucens, merita una trattazione più ampia di quella possibile nell’ambito del corpus delle iscrizioni albensi in corso di elaborazione. Lo pubblichiamo qui insieme ad un riesame delle altre testimonianze di seviri Augustales ad Alba Fucens.
L’ara a corpo parallelepipedo in calcare tenero a grana fina, manca della base. L’altezza conservata è di metri 1,10; il corpo è largo metri 0,73 e profondo metri 0,65.
Le superfici sono molto corrose e dilavate. L’ara è scheggiata in più punti e l’iscrizione è molto svanita, forse non soltanto per la corrosione della pietra relativamente tenera, ma, sembra, anche per tentativi di cancellare il testo. Le tracce rimaste delle lettere, confrontate con la trascrizione ottocentesca del codice Ferraioli 513, permettono di presentare una lettura abbastanza sicura.
D(is) M(anibus) S(acrum)
C. Populeno Nata-
li, sev(iro) Au[g(ustali), cur(atori)
[ar]c(ae) sev(irum, sc. Augustalium)
C. [Po]pulenus Nata-
li[s] et Populena
[D]aphne filie
et Populena
Fr[is]onia con(iunx)
b(ene) m(erenti) p(osuerunt)
C. Populenus Natalis fu dunque curator arcae sevirum (Augustalium) ad Alba Fucens. Il sevirato era considerato un honor, perciò una summa honoraria veniva versata nell’arca da chi riceveva questo onore. Con la loro munificenza i seviri Augustales uguagliavano i decurioni.
I seviri Augustales di Alba Fucens nel I-II secolo riflettono dunque l’importanza economica della città in questo periodo. In questo contesto l’iscrizione del curator arcae sevirum Augustalium, C. Populenus Natalis, assume una dimensione sociale-economica importante.
<Rielaborato da M. Di Domenico, “Cese sui piani palentini” (1993) e H. Devijver, F. Van Wonterghem: “Un «curator arca sevirum» ad Alba Fucens” (1984-1986) >











Riferimenti:
T. Mommsen, “Corpus Inscriptionis Latinarum” (C.I.L.), IX, 3949, Berlino, 1883.
A. Di Pietro: “Agglomerati dei paesi attuali…”.
P.A. Corsignani: “Reggia Marsicana”, Napoli 1738 parte I. libro II.
H. Devijver, F. Van Wonterghem: “Un «curator arca sevirum» ad Alba Fucens”, in Ancient Society Vol. 15/17 (1984-1986).
Garrucci: “La via Valeria da Tivoli a Corfinio”, Civiltà Cattolica anno 33, ser. II, vol. IX (1882).