“O la Marsigliese, o il caos!”

[Storia delle Cese n.18]
da Osvaldo Cipollone e Armando Palanza

Agli inizi del ‘900, dopo il prosciugamento del lago del Fucino, la popolazione marsicana rivendicava un’equa ripartizione delle terre coltivabili e a quel tempo amministrate dalla famiglia Torlonia, realizzatrice del progetto. I contadini protestavano contro la speculazione e lo sfruttamento di chi riempiva i granai sfruttando la gente che lavorava la terra ed alimentava il raccolto con il sudore, ricevendo salari da fame o una misera coppetta di grano. Per queste ed altre motivazioni, lungo le strade si mossero vari cortei sollevando polvere, braccia e bandiere. In tutta la Marsica si sentiva un brulicare di iniziative generate dal fermento rivoluzionario che scaturì spesso in episodi di contestazione. A San Pelino (allora frazione di Massa d’Albe), durante la festa in onore di San Michele, un gruppo di giovani pretese che la banda suonasse “l’Inno dei lavoratori”, provocando un parapiglia. A Celano un noto avvocato scaldò gli animi al grido di: “la terra ai contadini”. Ad Avezzano migliaia di persone parteciparono ad una fiaccolata, caldeggiando la candidatura di un semplice cittadino contro il principe Torlonia.

Abbastanza singolare fu, però, un episodio verificatosi a Cese in occasione di una commemorazione per i caduti della guerra italo-turca. Erano presenti personalità, carabinieri e la banda di Avezzano. Il corteo patriottico seguì gli inni in voga: quello garibaldino, quello reale e di Mameli. Il presidente della società operaia don Paolo Sartori, seguito dai soci, consigliò alla banda di suonare anche “l’Inno dei Lavoratori”, riscuotendo applausi. La presenza del maestro della scuola locale, Ferrari di Scurcola, fece sì che la manifestazione si tramutasse in una rivendicazione di diritti e servizi, rivolta agli amministratori del tempo, incapaci di far progredire la frazione.

Un tal Umberto, calzolaio del posto, fermò il corteo per baciare un lembo della bandiera e ordinare poi di suonare “La Marsigliese”. Costui aveva ascoltato l’inno rivoluzionario dalla banda di Cagliano Aterno, invitata alla festa in onore di Santa Elisabetta e ne era rimasto entusiasta. Il Capobanda fece presente di non avere la partitura del pezzo, né di poterlo eseguire ad orecchio; l’altro non volle sentir ragioni: “O la Marsigliese, o il caos!”. I militi furono costretti ad intervenire riaccompagnando a casa Umberto. Solo allora il corteo si ricompose e, rinvigorito dall’episodio fuori programma, poté percorrere le strade del paese carico ancor più di entusiasmo.


<Rielaborato da A. Palanza, “Avezzano dei tempi andati” (1966)>


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