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L’antica chiesa di Cese. Tesori perduti

[Storia delle Cese n.12]
da Mario Di Domenico

Il maggiore tempio religioso della comunità cesense fu eretto, ad opera del monachesimo benedettino, sulle rovine abbandonate di una villa coloniale romana. Il Vescovo Didaco Petra la descriveva così a seguito della sua visita pastorale del 19-20 maggio 1671: “La chiesa era di una sola navata ed appena all’ingresso della porta centrale, sulla destra, era disposto il fonte battesimale, staccato dal muro. In armonia con questo particolare angolo del tempio, ordinai al procuratore della chiesa di sistemare, sopra al battistero, l’immagine di San Giovanni Battista. Tra le altre, segnalai la conservazione delle reliquie di alcuni santi, tenute in una piccola capsula lignea. Mandai ai canonici, previa pena di dieci ducati, di ben conservare il mobilio dell’altare e soprattutto la capsula argentea dove era conservata la sacra immagine della santissima Vergine Maria. Visitai gli altari della Beata Maria Vergine e quello di Santa Caterina Vergine[1] e quello dedicato al SS. Crocifisso che era di diritto di patronato della famiglia Tomei di Cese. Infine visitai l’altare di Sant’Antonio abate, adornato di un Crocifisso ed alcuni candelabri”.

All’inizio del ‘900, Pietro Piccirilli illustrava così gli aspetti artistici della chiesa: “La chiesa madre, dedicata a Santa Maria delle Grazie, ha nel fronte un portale di stile classico, lavorato nel 1532, sostituito a quello quattrocentesco di cui rimangono le sole imposte con lo stemma scolpito della famiglia Maccafani. Su l’arco di trionfo potrete vedere un affresco che rappresenta Cristo benedicente alla latina, fra quattro Angioli e alcuni Santi in orazione, tre da ogni lato. La testa del Nazareno è bellissima e ben conservata; le altre figure sono alquanto guaste da ritocchi. L’opera rimonta al 1213, data che era scritta a fiano dell’arco e che venne cancellata in occasione di restauri. Nella Cappella a sinistra, entrando, v’è una tela non dispregevole raffigurante l’incoronazione della Vergine sullo sfondo della battaglia di Lepanto, firmata Georgius Nieris Bononiens 15.. f.”.

La tela era stata donata dal principe Marcantonio Colonna, luogotenente delle armi Cattoliche, dopo la vittoria contro i Turchi nella battaglia di Lepanto del 1571.

Proseguiva il Piccirilli: “Stupendi sono i quadretti che fregiano la zona ricorrente sullo zoccolo, i quali, imbrattati da un vandalo con una tinta grigia ad olio, rappresentano scene delle vita di Cristo e di Maria”.

Pietro Antonio Corsignani, che aveva illustrato il tempio attraverso la descrizione del 1726 pervenutagli dall’abate Ferdinando Aloisi, riportava che l’altare maggiore “era chiuso da un cancello in ferro battuto molto antico” e che “si vedevano pendenti sulle pareti dell’altare maggiore le grosse candele lasciate dai devoti pellegrini di Alvito in onore della Madonna delle Grazie di Cese”, aggiungendo che “a gran copia sono altresì pendenti dalle sacre pareti del tempio le tavolette (chiamate Voti) che i devoti alla Sacra effigie usano lasciare a titolo di devozione perenne”. Proseguiva Corsignani: “Tra le altre, nella torre campanaria, v’era una campana che recava la data 1321, quivi collocata col contributo dei fedeli. Le pareti interne erano molto lavorate con disegni e rilievi marmorei raccolti in una sola navata ricoperta da una pregevolissima soffitta in legno dorato, vagamente dipinta e ripartita con corniciature alternate in forma quadrata e rotonda”. La soffitta crollò sotto il peso della copiosa nevicata del 9 febbraio 1886 ed era di tale considerevole bellezza da essere idealmente riprodotta dall’artista marmoraro (sec. XVI) nella pavimentazione incisa sulla lastra del tabernacolo.

Corsignani annotava ancora: “A contorno della nicchia sull’altare maggiore erano anche numerose pietre scolpite nella forma di fogliame, altri ornamenti ed alcune statuette dorate testimonianti la antichità del tempio. Nella parte di dentro delle porte che adornano il venerabile altare ci sono anche varie dipinture che rappresentano la Vergine Nunziata, la Visitazione di Santa Lisabetta e la Coronazione in cielo di N.D.”. Tra le metope dell’abside indicava pure alcune “rappresentazioni in terracotta raffiguranti le varie fasi della vita di Gesù Cristo: dal concepimento o cosidetta Visitazione angelica, alla Circoncisione del Signore con vari altri misteri della SS. Passione e dell’ultima cena”.

La chiesa, nel corso dei secoli, ha subito varie trasformazioni. Il primo e sostanziale intervento di restauro e conservazione, a noi noto, delle strutture murarie si è concluso nel 1213. In un capitello riguardante la struttura interna della chiesa fu incisa la data del secondo restauro: 1532. Questo restauro fu voluto dai vescovi Maccafani. Vi parteciparono vari artisti che impressero le strutture secondo le tendenze rinascimentali del momento. L’ultimo intervento di cui si ha notizia certa risale al 9 febbraio 1886, in conseguenza della straordinaria nevicata a causa della quale crollò il tetto e la volta già pericolante della chiesa.

Fino alla prima metà dell’ottocento era sicuramente presente all’interno della chiesa un pregevole organo donato sempre da Marcantonio Colonna nel ‘500; questa donazione si inserisce a completamento del restauro del tempio cesense iniziato dai vescovi Maccafani. Inoltre l’abate Aloysio segnalava che all’interno della Sacrestia era conservata una mitra vescovile, in tessuto bianco damascato, considerata già antica nel XVIII secolo. Anche di questo pregevole corredo sacro non v’è ormai più traccia. Sicuramente è andato perduto, come quasi tutti i “tesori” della chiesa cesense, nel terremoto del 1915.


[1] Questo altare è menzionato solo in occasione di questa visita parrocchiale. Nelle successive è sempre riportato quello della Sacra Cena Societatis (ultima cena).

<Rielaborato da M.Di Domenico, “Cese sui piani palentini” (1993)>


Una replica a “L’antica chiesa di Cese. Tesori perduti”

  1. Sempre con tanta emozione di leggere storia del mio “paese… al quale, non so quando tornero, il mondo e diventato molto triste. Quello che “nesun” virus impedira e di sognare una passegiata per le tranquille stradelle in una notte di settembre…piango…e vi saluto di Argentina.
    Berisso gemella di Cese

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