[Storia delle Cese n.85]
da Osvaldo e Roberto Cipollone
La struttura “urbanistica” di Cese si è ovviamente modificata nel tempo e la conformazione che vediamo attualmente è frutto non solo della ricostruzione post-terremoto, ma anche delle trasformazioni intervenute a livello architettonico, normativo, economico e socio-demografico.
Dall’elenco delle costruzioni presenti nel XIX secolo emerge una visione da tipico borgo medioevale, con una concezione strutturale caratteristica di molti paesi e cittadine che – fortuna loro – hanno conservato e valorizzato lo stile originario. Nel nostro caso, come noto, ciò non è stato possibile perché la quasi totalità dei fabbricati è andata distrutta pressoché interamente in seguito all’evento del 13 gennaio 1915.
Strade e piazze del periodo pre-terremoto erano certamente diverse da quelle odierne. Oltre ad essere di dimensioni più modeste, prevedevano prosecuzioni di tratti e curve stradali, ed erano in generale concepite per un uso più “a misura d’uomo” che di macchina. Quasi tutte le case avevano in prossimità una stalla, una tettoia, un porcile o un pollaio, viste le specifiche attività dei contadini e la vocazione del paese. Fino a tutto l’800, nello specifico, era parte integrante dell’abitazione un locale o uno spazio multiuso che veniva comunemente chiamato “terraneo”. Numerose erano le botteghe degli artigiani, quelle per il commercio e la rivendita in generale; diversi erano i punti in cui venivano esposte carni ovine all’aperto, vicino a granai, forni e cantine.
L’ultima costruzione in uscita verso Cappelle era la chiesetta di Santa Lucia (al numero civico 12 di via Roma, ex Via Santa Lucia), mentre dal lato opposto, in uscita verso Capistrello, gli ultimi edifici erano rappresentati da case in costruzione, stalle e granai, ma non andavano oltre una zona prossima all’attuale Madonnina. In generale, le abitazioni erano molto più concentrate verso il nucleo centrale, che rappresentava il fulcro vitale del borgo. Questo, infatti, era necessariamente più autosufficiente ed auto-contenuto, perché erano certamente più difficili gli scambi con l’esterno ed il lavoro si concentrava sul settore primario dell’agricoltura e dell’allevamento. Scorrendo l’elenco delle abitazioni e delle costruzioni presenti prima del terremoto si nota soprattutto una forte concentrazione di case, stalle e cantine in alcune stradine che oggi sono poco abitate, come Via sulla terra (attuali via Monte Cimarani, via Pascoli e via Petrarca), Via dell’arco (che comprendeva anche il primo tratto dell’attuale via Machiavelli), Borgo (attuali via Mandre, Piazza Virgilio e via Salvatorelli), Via Centrale/ex Via del pozzo (attuale via Isonzo), Via sulle Mura (attuale via monte Arunzo), Vicolo Cipollone (attuale Via San Bonaventura), Via Grande/ex la Rua (attuale via Gorizia), via Pompei/ex Ruella (attuale via Imele), Piazza nuova/ex Piazza dei Fossi (attuale piazza Umberto Maddalena), Via Castello (attuali via Leopardi e via Manzoni), oltre alla Piazza Centrale/ex Piazza della chiesa (attuale Piazza Francesco Baracca). Tale conformazione abitativa rifletteva a grandi linee quella originale, concentrata per l’appunto attorno l’antico tempo religioso. Come sappiamo, infatti, il paese è nato dall’aggregazione di pastori e contadini attorno all’abbazia che i benedettini avevano edificato sulle rovine di un antico tempio pagano. Il primo nucleo abitato è stato quello comunemente chiamato “Mandre” (ossia dimora di pastori e bestiame), appunto in prossimità dell’abbazia, situata pressappoco nel punto in cui sorge l’attuale chiesa madre.
In tempi remoti, l’abitato doveva avere una propria cinta muraria, se si considera l’esistenza di una piazza, chiamata appunto “’n sulle mura”, che si apriva a ridosso di detta cinta. Secondo quanto riportato dai più anziani, al centro di questo spazio esisteva un tempo una costruzione dalla struttura caratteristica (che si potrebbe assimilare, forse fantasiosamente ma neanche troppo, ad un torrione). La conformazione “a borgo” è in qualche modo confermata anche dall’esistenza di “Via Castello”, sebbene il termine “castello” sia da associare più plausibilmente all’antico monastero benedettino, divenuto poi palazzo vescovile e munito di alte strutture che consentivano anche uno schieramento difensivo a protezione del tempio. Secondo quanto riportava nel 1993 Vincenzo Cipollone (“de Papparéjjo”, classe 1902), «il paese prima era rotondo, tanto è vero che c’era una canzonetta che diceva: “Il paese è tunno tunno e ‘nnaméso ci sta un forno”. Il forno era quello pubblico, del Comune, e stava vicino “ajj’appardo” – ossia davanti a Maddalena, Ada, Ferrantini. Lì c’era una strada, e staccata dalla strada ci stava questa costruzione con il forno; quando c’è stato il terremoto, non l’hanno più ricostruito. Prima era quello l’unico forno, poi hanno fatto gli altri». Pochi cenni che però confermano la forte aggregazione attorno al nucleo originario e che, loro malgrado, accrescono il rammarico di non disporre di nessuna testimonianza fotografica pre-terremoto (eccezion fatta per l’unica foto esistente, quella dell’antica chiesa) e, ancor più, di non poter più godere di quell’amato, piccolo borgo antico.
<Rielaborato da O. Cipollone, “Orme di un borgo” (2002)>

Una replica a ““Il paese è tunno tunno e ‘nnaméso ci sta un forno””
Complimenti per il vostro lavoro di ricerca e di pubblicazioni molto interessanti . Grazie