[Storia delle Cese n.67]
di Roberto Cipollone
Attualmente, come noto, la tavola della Madonna delle Cese fa ritorno in paese soltanto in concomitanza delle feste patronali, per essere venerata dai fedeli e portata in solenne processione nel giorno di domenica. Non esistono testimonianze visive di processioni con la presenza dell’Icona antecedenti agli anni ’30, mentre dalla più antica fotografia della tavola si può immaginare che questa fosse conservata stabilmente all’interno della chiesa. Si può dunque ipotizzare che, almeno nell’immediato post-terremoto, non fossero previsti passaggi o esposizioni esterne.
Da un documento ritrovato nell’Archivio diocesano dei Marsi, inoltre, si apprende che la sistemazione, comprendente l’applicazione di alcuni drappi (da cui il nome popolare di “Madonna dei sette parati”?) e di un corona di metallo dorato, aveva causato diversi danni alla tavola stessa; danni successivamente sanati con il restauro eseguito nei primi anni ’90 (che sarà oggetto di un articolo dedicato). Tornando alla collocazione dell’opera, invece, il fondo ritrovato in archivio fornisce informazioni inedite sulla cornice ancora oggi utilizzata per portare in processione la Sacra immagine realizzata da Andrea De Litio attorno al 1439. Il documento, in particolare, è denominato “Elenco degli oggetti preziosi, artistici o storici esistenti nella Chiesa Parrocchiale di Santa Maria in Cese di Avezzano al 1° dicembre 1929” ed è stato redatto dal parroco del tempo, Don Vittorio Braccioni.
Con riferimento all’Immagine della Vergine, Don Vittorio aveva inserito nel testo un ritaglio del Bollettino Parrocchiale del settembre 1928 contenente un accenno di analisi stilistica dell’opera di De Litio ed una disamina dello stato di conservazione della tavola. Nel ritaglio si legge: “Una delle glorie della Chiesa Cattolica è il patrimonio artistico che Essa di fatto o per diritto possiede distribuito non solo nei tempi e nei palazzi famosi, ma pure spessissimo nei più umili e nascosti abitacoli del Signore. L’Italia, poi, dopo gli splendori dell’era monumentale pagana, ha continuato a pullulare di ingegni e di geni in ogni branca dell’arte, sublimata talora alle più alte espressioni dell’ispirazione per l’influenza pura e forte dell’ideale cristiano.
Purtroppo l’ignoranza, l’incuria, il desiderio di guadagno, hanno permesso e fatto sì che innumerevoli esemplari dell’arte nostra siano stati o trafugati, o mutilati, troppo deteriorati, o persino addirittura distrutti.
Possediamo nella nostra Chiesa una pregevole tavola quattrocentesca con l’effigie della Vergine rappresentata a men che mezzo busto, di ottima fattura e di bellissima espressione. La linea veramente insolita del taglio marginale in questo legno, ed alcune particolarità tecniche che in esso si notano, possono far sorgere nella mente dell’osservatore l’ipotesi della smembratura di un grande dipinto, di cui noi possediamo il pezzo principale. Però anche l’affermazione contraria regge bene da sé. Si richiedono dunque dati e criteri migliori a conforto dell’uno o dell’altro parere. Su questa tempera si scorgono i segni delle preoccupazioni deleterie degli uomini più che del tempo. Infatti: nell’aureola dorata si distinguono bene le tracce della leggenda (sic) in lettere gotiche “Ave Maria, ecc”, ma anche bene si conosce che le lettere furono di proposito staccate dallo stucco che le teneva obbligate alla tavola e ciò perché esse saranno state di metallo prezioso. Non mi fermo a parlare di altre prodezze compiute in epoca meno lontana, come, ad esempio, un tendaggio (bello, è stato detto) insignificante, volgarissimo, sudicissimo, appiccicato con chiodi alla tavola; di una corona (preziosissima, si era creduto) di comune metallo stampato e dorato, tenuta con chiuodini direttamente sulla pittura che ne ha riportate numerose (e graziosissime, no?) graffiature visibili anche a distanza. A coronamento di tanto vituperio, una mano incompetente volle tentare il restauro di alcune parti del dipinto, producendo macchie ed ombrosità sgradevoli e palesi. Trovata in queste condizioni la cara Icona ed eseguiti di tanto in tanto i necessari sgomberi, fu mio pensiero di darle una cornice [omissis]”.
Fu dunque Don Vittorio a commissionare la cornice che possiamo apprezzare oggi nei giorni di presenza della tavola a Cese. Nel documento comprendente l’elenco dei beni preziosi e artistici della Parrocchia, lo stesso sacerdote aveva scritto di proprio pugno: “La detta immagine (che è sempre stata esposta alla pubblica venerazione) oggi è racchiusa in una bella cornice di stile, eseguita nell’Agosto 1928 dalla Scuola di Arte Cristiana “Beato Angelico” di Milano. Questa tavola ha dato prova di resistenza meravigliosa alle ingiurie del tempo. Vi si nota soltanto una forte incurvatura in avanti, ma ciò nonostante, neppure la benché minima screpolatura. Lo stucco è ancora ben saldo, ad onta dei geli, dei calori e dell’umidità cui è stato necessariamente esposto anche dopo il disastro tellurico. Poche le tracce dei tarli. Le avarie che si riscontrano sono dovute tutte all’ignoranza degli uomini. A mio parere, lo stile della pittura deve dirsi sinceramente quattrocentesco e ricorda i migliori esemplari delle Madonne toscane ed umbre. Di queste tiene anche l’espressività umile e dolce, davvero notevole. L’esecuzione pittorica, a tempera, è minuziosa ma nell’insieme di scarso rilievo plastico, come del resto le sue congeneri. Dimensioni 0,60 x 0,43“.
Un’analisi stilistica notevole per il periodo in cui venne redatta, considerando che l’allora parroco di Cese aveva a propria disposizione, a quel tempo, esclusivamente la propria esperienza e capacità interpretativa, oltre alle conoscenze personali in materia di arte pittorica. E’ opportuno ricordare, a tale proposito, che Don Vittorio è stato anche un fine ed apprezzato pittore; dunque godeva certamente di un “occhio” esperto ed allenato. Anche la progettazione della cornice commissionata alla scuola d’arte milanese sarà passata plausibilmente dalla sua mano e al riguardo è interessante notare che l’oggetto compare con una propria scheda all’interno del Catalogo generale dei Beni culturali. Nella stessa scheda, che riporta come anno di compilazione il 1982 (https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1300088792), si legge che “la cornice era usata per sostenere il dipinto della Madonna delle Grazie quando ancora era portato in processione (sic). L’opera, pur mancando di originalità, è una buona opera artigianale”. La proprietà indicata è “Ente religioso cattolico” e viene specificata anche l’iscrizione riportata in basso: “AVE MARIA STELLA/ DEI MATER ALMA – lettere capitali – a caratteri applicati – latino”. L’effetto che maggiormente riconosciamo alla cornice, ad ogni modo, è l’impreziosimento che ancora oggi possiamo apprezzare nei giorni in cui la Madonna delle Cese fa ritorno nella sua casa.
<Articolo originale basato su ricerche personali. Si ringrazia l’Archivio Diocesano dei Marsi e la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di L’Aquila e Teramo>










Una replica a “Una cornice che è un’opera d’arte”
Roberto, per tua conoscenza la cornice così come il baldacchino furono restaurati per commissione di Don Angelo a metà anni ottanta da Ernaldo Tonelli artigiano di Avezzano oltre che la parte lignea, fu interamente riapplicata la doratura in foglia d’oro a 24 carati. Ernaldo era un mio cugino marito di Carmela la sarta figlia di Zia Angelina, se chiedi a tuo padre penso ricordi queste persone. Ciao Alvaro.