La terra delle Cese e i 52 “fuochi” del 1797

[Storia delle Cese n.58]
da Lorenzo Giustiniani

Lorenzo Giustiniani era un erudito napoletano ed alla fine del 1700 scrisse la sua opera maggiore, il “Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli”, i cui primi tre volumi furono pubblicati nel 1797. All’interno fortunatamente trova spazio anche una breve descrizione di Cese, con riferimenti al territorio, al patrimonio floro-faunistico, all’attività agricola ed al numeri di abitanti e di “fuochi”, termine che, dal Medioevo fino ai primi dell’Ottocento, indicava la singola unità familiare soggetta a fiscalità[1].

Nella descrizione del Giustiniani compaiono alcune curiosità interessanti. La prima è relativa alla ricchezza faunistica della zona; viene citato un pesce, la lasca, che risultava presente nei mesi estivi nel fiume Imele, e sono elencati alcuni animali che popolavano la montagna (chiamata, fra l’altro, montagna “delle pietre” o anche “delle Cese”), come starne, beccacce, pernici e lepri. La seconda è riferita all’attività agricola, con particolare riferimento alla coltivazione del grano, del “granone” e dei legumi; tutti prodotti che a quanto pare venivano venduti non solo al mercato di Tagliacozzo ma addirittura anche a quello dell’Aquila. Tralasciando i dettagli sui diversi passaggi di pertinenza della terra delle Cese (Colonna, Piccolomini, Orsini…), un ulteriore dettaglio interessante è quello relativo all’ammontare della popolazione, che era appunto conteggiata in “fuochi”: al tempo se ne contavano 52, per un totale di 430 abitanti.

Di seguito, il testo originale di Giustiniani.

CESE terra in Abruzzo ultra in diocesi dei Marsi, distante dalla città dell’Aquila miglia 20 incirca, e dal mediterraneo 80. La sua situazione è in pianura, e il di lei territorio confina con Avezzano, Cappelle, Scurcola, Corcumello e Capistrello. Vi passa il fiume Imele, che ha la sua origine dalle terre di Verrecchie, e Tagliacozzo. Questo fiume nel solo tempo di està produce, e in poca quantità un pesce, che chiamano Lasca. Dalla parte di greco tiene una montagna chiamata delle pietre, ed anche delle Cese, e nella medesima vi è molta caccia di starne, beccacce, e pernici, e similmente di lepri. Dalla parte opposta evvi un’altra montagna detta delle grottelle, boscosa di faggi, aceri, leccine. Nel piano poi vi è un picciol bosco tutto di cerri, che si appartiene alla Chiesa di Santamaria di detta terra. Dal detto territorio ricavano i cittadini grano, granone, e legumi soprabbondanti al proprio bisogno, che poi vendono nei mercati di Tagliacozzo, e dell’Aquila. Dall’agricoltura infuori, non hanno altra industria.
La più antica numerazione, ch’io sappia è del 1595, in qual anno furono tassati i suoi abitanti per fuochi 73, nel 1648 tassati per lo stesso numero e nel 1669 per 55. Inoggi ascendono al numero di 430, tassati per fuochi 52.
Questa terra fu donata dal Re Federico con lo stato di Tagliacozzo a Fabrizio Colonna Romano. Nel 1463 il Re Ferrante la donò ad Antonio Piccolomini d’Aragona. Nel 1442 si possedeva però da Giovanni Antonio Ursino, dalla quale famiglia si passò alla casa Colonna, che tuttavia possiede.


[1] La rilevazione per fuochi permetteva di stimare la popolazione di un determinato paese o villaggio con buona approssimazione, considerando che un fuoco contava dai 4 ai 6 componenti, definiti “anime”. Bisogna comunque tenere presente che il numero di fuochi non comprendeva tutte le famiglie di un determinato feudo, villaggio o Universitas, ma solo quelle soggette a tassazione e non quelle franche per privilegio o per altre ragioni.

<Tratto da Lorenzo Giustiniani, “Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli” (1797)>

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