[Storia delle Cese n.52]
da Ermanno Di Matteo
“Ha fatto della sua vita come un ferro …”, così si legge nella lapide murata sulla tomba monumentale di Padre Valeriano Marchionni a Soavinandriana. Ordinato Sacerdote Trinitario nel 1925 insieme al fratello Padre Ignazio, dopo neanche un anno era partito Missionario in Madagascar approdando lì il 2 agosto 1926. Fu mandato solo a Soavinandriana, Diocesi di Miarinarivo, nel centro del Madagascar, percorrendo quella che ancora oggi è una strada stretta, battuta, dissestata, polverosa in una terra rossa, arida, stepposa. Per quasi tre anni è stato solo ad evangelizzare con grande fede, forza e volontà. Dalla sua corrispondenza si è potuto dedurre che è stato un lavoro meticoloso, faticoso ed estenuante, portato avanti visitando tutti i villaggi del distretto; tanto che il Nunzio Apostolico scriveva al Padre generale dell’Ordine: “I suoi religiosi hanno un solo difetto, quello di non curarsi della salute”. Infatti non si è fermato di fronte a nessun ostacolo, non ha pensato alla sua salute quando, malato, fu chiamato a salvare un altro malato, prendendo freddo e acqua che gli procurarono una broncopolmonite e gli tolsero la vita; era il 15 aprile 1929. Per il distretto di Soavinandriana è un Martire, un Santo; non solo per l’ultimo atto eroico, ma per una vita consumata per loro, piena di bontà, di solidarietà, di altruismo. “Ha fatto della sua vita come un ferro (arnese) perso per salvare un malato…”; un arnese, uno strumento che gli altri hanno usato, adoperato per loro; la sua vita non era sua, era per gli altri, per loro. Il suo corpo è sacro, la sua tomba è un monumento meta di preghiera e venerazione. Soavinandriana non permetterà di portarlo via, neanche ai PP. Trinitari che ora non sono più nel distretto.
Padre Valeriano era nato a Cese con il nome di Emilio Marchionni il 21 dicembre 1891 da Giovanni Antonio e da Rosa Cipollone. Il padre, benché autodidatta, insegnava a leggere e scrivere ai compaesani in una scuola serale di fortuna. Era un uomo molto intelligente e fu chiamato a definire la spartizione degli appezzamenti dei terreni disboscati. Morì sotto le macerie del terremoto del 13 gennaio 1915. La madre Rosa era molto pia e caritatevole. Per anni fu presidentessa delle Figlie di Maria a Cese. Con la pensione che riceveva per il figlio Federico, morto in guerra, aiutava – oltre ai parenti – anche i poveri della zona. Offriva sempre l’olio per la lampada del SS. Sacramento e Padre Valeriano le aveva insegnato a leggere con la Bibbia. Nel 1909, a 18 anni, Padre Valeriano espresse il desiderio di farsi sacerdote. I genitori si misero in contatto con alcuni istituti religiosi, che però gli rifiutarono l’accesso nei loro collegi, senza vederlo, perché era grande; solo i Trinitari accolsero la sua domanda. Nel 1915, durante l’anno di noviziato, fu precettato dalle autorità italiane di partire per il fronte. Terminata la guerra, Padre Valeriano ritornò in collegio per riprendere, con rinnovata lena, il cammino verso il sacerdozio.
L’Adeat (Associazione degli ex allievi e amici dei trinitari) a dedicato a lui la scuola elementare che ha costruito ad Andriamena, un distretto del Madagascar; nel 2003 è stata così inaugurata la “Scuola Elementare P. Valeriano Marchionni”. Nel 2010 la Giunta Comunale di Avezzano ha deliberato di intitolare al nome di Padre Valeriano Marchionni il largo ricompreso tra Via Pietro Marso e P.zza Francesco Baracca nella frazione di Cese con la seguente motivazione: “Emilio Marchionni a 17 anni entrò in collegio dei PP. Trinitari a Palestrina vestendo l’abito religioso il 16 luglio 1909. Già professo semplice, fu chiamato alle armi nel 1914 e assegnato al 10° reggimento di artiglieria di fortezza. Fu combattente nella guerra del 1915-18. Per la sua dedizione alla Patria fu autorizzato a fregiarsi del distintivo del nastrino della Croce di guerra, della medaglia commemorativa di guerra nazionale (1915-1918), nonché della medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia. Terminato il servizio militare, rientrò nell’Ordine Trinitario, prese la laurea in filosofia e il 9 agosto 1925 fu ordinato sacerdote. Il 26 giugno 1926 partì come missionario nel Madagascar. Era solo e si prodigò con tutte le sue forze per il bene della popolazione. Il 15 aprile 1929 morì, aggredito da una polmonite fulminante contratta a causa della sua generosità, a soli 38 anni, lasciando una testimonianza di fede e di operosità”. La cerimonia di intitolazione si è tenuta il 1° maggio 2010.
Nel 2018 la vita missionaria di padre Valeriano Marchionni è stata raccolta in una pubblicazione – destinata, almeno nella prima stesura, ai soli suoi familiari – in cui il missionario trinitario viene raccontato e ricordato attraverso le sue stesse parole. Il libro, infatti, contiene i suoi racconti di viaggio, una sorta di diario missionario in cui il giovane Valeriano appuntava luoghi e persone per poi inviare una relazione periodica alla Casa Madre, a Roma. Un servizio, il suo, bellissimo ed estenuante. Le pagine raccolte dai suoi familiari raccontano di un giovane che non si risparmiava e che anteponeva la missione a tutto, anche alla sua salute, tanto che, come riportato, morì appena 38enne.
Sua nipote Pia Marchionni lo ricorda così: “Padre Valeriano nacque nel 1891; fu missionario in Madagascar dal 1926 al 1929: nel paese africano fondò la prima missione trinitaria insieme ad altri 2 missionari; ad assisterli 2 volontari. Interruppe gli studi al seminario S. Crisogono, a Roma, per adempiere al servizio militare; fu arruolato durante la prima Guerra Mondiale. Nel 1925 celebrò la sua prima Messa Solenne, insieme al fratello, padre Ignazio Marchionni – che diventò poi Padre Generale dell’ordine della Santissima Trinità – nel Santuario della Madonna di Pietraquaria. In Madagascar, nel distretto di Soavinandriana, gli furono affidati 40 villaggi: il suo compito era visitarli tutti in un anno, sostando in ognuno 2 o 3 giorni per celebrare Messa e amministrare i sacramenti. Ogni mese doveva, però, tornare al centro della missione per la formazione dei catechisti, così che questi fossero in grado di fare le sue veci durante le sue assenze. Erano gli anni 20, in Africa. Valeriano viaggiava a piedi, in bicicletta, sotto il sole o la pioggia, attraversava fiumi e passava precipizi. Fu anche oggetto di due attentati: uno da parte di uno stregone, l’altro tentato da un medico francese, affiliato alla massoneria. Nei suoi ultimi giorni, percorse 20 km a piedi, di notte, per portare la Comunione a una moribonda; già febbricitante, si ammalò di polmonite e morì 8 giorni dopo. Ora, in Madagascar ci sono seminari, conventi di padri e suore, scuole, laboratori, ospedali e molte vocazioni trinitarie che ora tornano da noi per rievangelizzarci”.
In una delle relazioni periodiche riportate nel libro Padre Valeriano scriveva: “Partito verso le 3 del dopo pranzo da Ambodivoara, spingendo la bicicletta per sentieri impraticabili, arrivai verso le 8 di sera a Bonara. È difficile descrivere le peripezie di questo viaggio. Basti dire che dopo aver fatto delle salite molto difficili, dopo aver attraversato torrenti, dopo aver superato dei precipizi, nell’ultima metà del cammino fui colto dalla pioggia e arrivai al paese stanco e bagnato. I cristiani (ben pochi!) non mi attendevano. Il catechista era in un altro villaggio, gravemente infermo. Dormii alla malgascia…e il giorno seguente celebrai la Messa con l’assistenza di appena 10 persone. Confessai alcune persone, battezzai un bambino, amministrai gli ultimi sacramenti al catechista e ripartii per Ambohimamory. Dopo quasi 5 ore di cammino, fatto quasi sempre a piedi, arrivai a questo villaggio. Mi trattenni un giorno e mezzo. Amministrai 7 battesimi e celebrai 2 matrimoni. Riparata dipoi la bicicletta, ripresi la via di ritorno a Soavinandriana. A metà strada, però, fui costretto a chiedere una filanzona ed arrivai alla Missione alle 8 di sera. Vi giunsi però non più solo, ma accompagnato: avevo la febbre. Dopo due giorni di sosta ripresi la visita delle cristianità per un’altra direzione. La prima tappa fu Ambavadivato. È questo un fiangonana[1] un po’ abbandonato perché privo di catechista. Amministrati 3 battesimi, di cui uno in extremis e distribuii una ventina di comunioni. Di qui discesi a Morarano. Questo villaggio, situato sul bordo del lago Itasy o meglio in uno dei tanti golfi di detto lago, di lontano sembra che non tocchi il lago perché a causa della poca profondità di questo i giunchi e le altre erbe acquatiche emergono così folti da dare piuttosto l’impressione di una steppa fiorita. Feci volentieri la traversata di una parte di lago in barca con la speranza di far conoscenza con i numerosi coccodrilli che lo abitano. Questi, però, si contentarono d’applaudire (!) al passaggio del padre e di fargli lo scherzo col tagliare la corda. Dopo tre quarti d’ora di barca e un quarto d’ora a piedi (senza contare il tragitto in bicicletta prima di arrivare al lago) giunsi al villaggio e mi trattenni circa 3 giorni. Amministrai 9 battesimi di cui 4 adulti, ascoltai 10 confessioni e distribuii 40 comunioni. Di qui passai all’estremità quasi opposta del lago e precisamente all’emissario ad Andasibè. Questo villaggio è uno sei più importanti di tutto il distretto. Il sabato vi si tiene un mercato importante. La mia permanenza fra quei fedeli durò un po’ più di tre giorni. Anche il frutto spirituale fu più abbondante che altrove. Ascoltai 70 confessioni, distribuii 150 comunioni, amministrai 7 battesimi e 14 prime comunioni. Se si tiene conto che è appena qualche anno che è stato fondato questo fiangonona e i protestanti sono molto più vecchi del luogo, niun non vede che il risultato è già consolante. Vi ero già stato il primo dell’anno e vi avevo amministrato parecchi battesimi. Di là feci una scappata a Miarinarivo per rivedere i miei confratelli e quindi sulla strada di ritorno a Soavinandriana feci una sosta ad Andranofotsy. In questo villaggio la riunione dei cristiani non fu numerosa a causa delle cavallette che aveva invaso le risiere. Rientrai in Soavinandriana il sabato 26 marzo per preparare la riunione mensile dei catechisti. Sia sempre benedetto il Signore che mi ha inondato l’animo di consolazione e di gioia nel visitare questi villaggi e nel vedere i frutti spirituali che apporta la parola di Dio nelle anime di questi malgasci”.
[1] Il termine “fiangonana” in lingua malgascia indica la chiesa.
<Rielaborato da tre articoli a cura di Ermanno Di Matteo pubblicati su “La Voce delle Cese” (2009, 2010 e 2018) e da un opuscolo dell’Adeat a cura dello stesso autore>


