Perché il “traforetto” dell’Arunzo riguarda anche Cese

[Storia delle Cese n.51]
da Primo Di Nicola e Francesco Proia

Molti saranno a conoscenza del canale di origine romana scavato tra Castellafiume e Corcumello, sotto il monte Arunzo (o Aurunzo). Quello noto anche come “canale Arunzio”[1] riveste in realtà una rilevanza del tutto particolare e conserva alcuni tratti ancora da decifrare. Primo fra tutti, quello relativo allo scopo per cui fu realizzato. In ogni caso, la sua storia coinvolge direttamente anche il paese di Cese, che viene citato soventemente nelle ricostruzioni storiche relative al “traforetto”.

Uno dei primi a citare il “canale Arunzio” è Muzio Febonio nella sua “Historia Marsorum” del 1678. Parlando proprio del villaggio di Cese, Febonio scrive: “Prima della caduta dell’impero romano, non essendo la località lontana da un tratto della via Valeria, ed essendo le selve dense di frutti e di animali selvatici, i signori vi costruivano residenze di caccia, al fine di ristorarvi anche gli animi, nei periodi in cui potevano prendersi riposo. Per rendere più accoglienti queste residenze attraverso un taglio del monte, tra Corcumello e Capistrello, presso Grottelle, scavarono un canale attraverso il quale potesse passare l’acqua del Liri, sia da Risondoli, su un ponte, sia da più lontana sorgente, per rifornire la località di acqua di cui vi era penuria. L’alveo scavato nel monte è visibile anche oggi per circa 500 passi e più benché si presenti ricco di ruderi e di fango qua e là. Della sua antichità testimonia ai nostri tempi il Cenotafio di L. Tito, scavato in una grande roccia su cui è una epigrafe, con lettere, purtroppo, abrase dal tempo: “Questo monumento è sacro agli dei mani/ Lucio Tizio ne…figlio di Lucio, iscritto nella tribù fabia, quattuorviro con poteri giudiziari e (già) questore del municipio/responsabile del tempio di Giove Statore, responsabile degli approvvigionamenti, annonari della città,/ (pose questo monumento …)”.

Nel 1685 Onofrio Lorenzo Colonna fece restaurare il canale per irrigare le terre dei piani palentini, che rientravano nel suo feudo; l’opera richiese ben quattro anni, come si legge in una lettera di Antonio Bulifon a Filippo Colonna, figlio di Onofrio: “Fu questo emissario fatto da Claudio imperatore e ai tempi nostri restaurato dal Contestabile Onofrio Lorenzo Colonna, facendolo nettare e levarne di dentro tutta la terra e i sassi portatevi dall’acqua, del quale era pieno in gran parte. Tutta la lunghezza trapassata al di dentro del monte (il quale è di pietra viva) è di miglia due e un quarto. Ora, per mandare in effetto questa lodabile impresa ci impiegò il sopradetto signore l’opera di 25 uomini, e con essere di là dal mezzo vuoto affatto libero da ogni impedimento, appena è bastato per polire la detta metà lo spazio di quattro anni continui, il termine proprio dei quali fu il 15 marzo 1689”. L’opera di ripulitura e riattivazione del canale, sebbene portata a termine con successo, si rivelò precaria e provvisoria. Solo per poco tempo il Gran Contestabile Colonna riuscì a condurre l’acqua di Riosonno sino ai fontanili di Cese. Dopo pochi anni, frane e smottamenti sbarrarono di nuovo il canale. E da allora e per quasi un secolo nessuno se ne interessò più.

Dopo quasi un altro secolo, nel 1861, Emanuele Lolli, sperando di poter irrigare le sue terre nei piani palentini con le acque del Liri, cercò di rintracciare di nuovo l’imbocco ormai completamente ostruito del “canale Arunzio”. Scopri così per caso, intorno al 1874, “un brano di antichissimo condotto, non lungi dalla strada marsicana, e che si dirigeva verso il monte Salviano”. Gli venne il sospetto “che fosse la continuazione dell’Arunzio e che internandosi nel detto monte, avesse anticamente portato l’acqua nel piano della Marsica”. Una ipotesi che trovava però anche fieri avversari. Nel giugno del 1884, per fornire acqua agli abitanti di Cese e poter irrigare i Piani Palentini, Emanuele Lolli e Biagio Orlandi fecero domanda al ministero dell’Agricoltura per ottenere una concessione che consentisse loro di derivare le acque del Liri. La pratica si arenò per varie difficoltà burocratiche. Ma nella relazione di presentazione al comune di Avezzano, i due raccontano come “fu però rintracciata e scoperta l’imboccatura del canale sul Liri e ne fu nettata una porzione”.

Un altro riferimento a Cese è rintracciabile nella descrizione fornita nel 1869 da Andrea Di Pietro, il quale scrive in “Agglomerazioni delle popolazioni nella Diocesi dei Marsi”: “Il canale scavato nelle viscere del monte Riofalco tra Capistrello e Corcumello, lungo circa passi 500, alto palmi 9 e largo palmi 5, che prendeva le acque nel fiume Liri e le portava ad irrigare quella bella pianura, indica potenza e antichità di quei proprietari, che pensarono cosi a migliorare la loro condizione. Il marmo che si conserva dentro la chiesa della Madonna della Rafia delle Cese, che rammenta Lucio Tizio Curatore, a questa antichità e potenza allude con sicurezza”.


In relazione alle tecniche utilizzate ed alla finalità per cui venne realizzato il canale risulta interessante quanto scritto nel 1880 da Emanuel Fernique, grande tecnico francese, nel suo libro “La regione dei marsi”: “Il monte Arezzo è perforato con cunicolo lungo metri 2 mila 400, di sezione angusta, ma sufficiente per il transito. È facile riconoscere l’imbocco e lo sbocco, ma resta incerto se si protende per tutta la lunghezza del monte Arezzo, poiché dall’una e dall’altra parte è ostruito da frane. Essendo il monte molto alto non fu possibile scavare pozzi di aerazione per la costruzione del cunicolo e non è facile spiegarsi come sia stata portata a termine una così grande opera con i mezzi disponibili del tempo. Verso il Liri (cioè sul territorio di Castellafiume) l’imbocco è a quota 766 metri sul livello del mare. Lo sbocco si trova a quota 731 metri, cosicché la pendenza del cunicolo va dalla valle del Liri verso i piani Palentini”. Sulla finalità prosegue ancora Fernique: “A distanza di tre chilometri dallo sbocco esiste, verso oriente, un altro cunicolo tra il fosso La Raffia e le pendici del monte Salviano, che per forma e disposizione mostrasi essere il prolungamento del primo, tanto più che gli abitanti del luogo asseriscono che le tracce di esso sono andate distrutte. Nella esecuzione di questa opera furono adottati due sistemi costruttivi: in massima parte il cunicolo è sotterraneo, ma nella maggiore depressione del suolo è a costruzione emergente sorretta da mura ciclopiche. […] Si vede che fu un acquedotto essendo lo speco protetto da intonaco per rendere stagne le pareti: è incerto poi in qual luogo l’acqua fosse convogliata. In realtà, hanno bisogno di irrigazione i campi Palentini se per essi scorre il fosso La Raffia e in qual modo può spiegarsi che il cunicolo risale le pendici del Salviano?”.

Quello del “canale Arunzio” è in effetti un caso straordinario in termini di tecnologia ingegneristica. Scrive Francesco Proia, facendo riferimento al parallelismo con il più noto emissario di Claudio: “A differenza dell’emissario claudiano, ma anche di qualsiasi altra galleria costruita dai romani, il canale Arunzio venne costruito senza l’ausilio di pozzi verticali. Un progetto ingegneristico più unico che raro, insomma, di cui non si conoscono precedenti. I romani, infatti, usavano costruire le loro gallerie seguendo una traiettoria tracciata in superficie, sul cui tracciato venivano scavati dei pozzi verticali e discenderie, che servivano per far accedere le maestranze, le macchine e i macchinari, ma anche per consentire la ventilazione dei cantieri sotterranei e per far uscire il materiale di risulta degli scavi. Quello sotto il monte Arunzio, invece, venne realizzato senza pozzi verticali, ma solo con l’avanzamento simultaneo ai due lati del monte, fino alla ricongiunzione al centro“.

In relazione allo scopo dell’opera, sembra che attualmente non esista risposta certa. Come scritto da Proia, “una delle ipotesi sostiene che ci fosse necessità di portare acqua potabile ai cantieri dell’emissario fucense, prendendola dalle fonti della sorgente Rio Sonno, situata nei pressi di Castellafiume; sembra però che l’acqua servisse anche per azionare le pompe idrauliche che servivano a portare a termine la faraonica opera dell’emissario di Claudio. A sostegno di questa ipotesi ci sono le date di costruzione dei due emissari, che sono sequenziali: dal 41 al 54 d.c. venne realizzato l’emissario dell’Arunzio, mentre dal 52 d.c. sono partiti i lavori per il prosciugamento del Fucino. Una seconda ipotesi, del tutto slegata al prosciugamento del Fucino, vuole che l’acquedotto sotterraneo portasse l’acqua ad una città poi scomparsa tra Luco dei Marsi ed Avezzano, o forse per l’irrigazione dei piani palentini“. Francesco Lolli, regio ispettore ai monumenti, nel 1913 sosteneva l’ipotesi che l’acquedotto proseguisse appunto oltre il Salviano per rifornire di acqua anche Angizia (Luco dei Marsi). Mentre però esistevano tracce di ruderi vicino a Cese, non vi sono riscontri archeologici della prosecuzione verso Angizia.

C’è da dire, a tale riguardo, che alcune delle ipotesi potrebbero tra loro coesistere, e che dunque il “traforetto” sia stato realizzato sia per irrigare i piani palentini e rifornire di acqua potabile i fontanili di Cese, sia per raggiungere il versante orientale del monte Salviano e/o coadiuvare l’opera di scavo dell’emissario fucense. In ogni caso, il canale conserva ancora oggi il proprio fascino, legato anche alle storie ed alle ipotesi che ruotano attorno.


Video del 2018 di Guglielmo Di Camillo, “Natura Abruzzo”

Video del 2012 di Fabio Venditti, “marsicalive”

[1] Probabilmente dal nome dell’ideatore, Lucio Arrunzio, che fu console nell’anno 6 d.C. e morì nel 37 d.C.. Stando a questa ipotesi, la realizzazione del canale fu avviata sotto Tiberio.

<Testo rielaborato da P. Di Nicola, E. De Amicis, B. De Amicis, M. Mariani, O. Maurizi, “Castellafiume il mistero dell’Arunzio” e da articoli di F. Proia su http://www.marsicalive.it&gt;


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