[Storia delle Cese n.46]
da Giuseppe Grossi
Nelle notazioni locali, al di là della denominazione amministrativa di “Cese di Avezzano”, il nostro paese appare sovente come “Cese dei Marsi”. In alcune ricostruzioni cartografiche, tuttavia, l’intero territorio palentino viene ascritto ad uno dei popoli confinanti con i Marsi, quello degli Equi (“Aequi”). La questione sarà facilmente risolta in favore dei Marsi, ma l’interrogativo è strumentale ad approfondire la storia di questi due popoli “fratelli”.
Equi e Marsi, genti di «cultura fucense», furono protagonisti fondamentali della civiltà appenninica antica ed in origine facevano parte di un’unica cultura proto-italica, quella dei “Fougni” (o “Fucensi”, appunto), sviluppatasi attorno al lago Fucino ed inserita nella grande unità linguistica safina (sabina) dell’Italia Centrale. Soltanto all’inizio del V secolo a.C. i popoli fucensi si divisero nelle due tribù italiche degli “Aequi” e dei “Marsi”, con confini che tuttavia non risultano esattamente definibili. Questi popoli, infatti, ricorrevano esclusivamente alla trasmissione orale del proprio patrimonio storico e culturale[1]; le prime testimonianze scritte, di conseguenza, sono successive alla creazione della colonia romana di Alba Fucens nel 303 a.C. Da quel momento si sa che il territorio dei Piani Palentini fu acquisito dai coloni di Alba Fucens, alcuni dei quali (come la famiglia degli Avidii) avevano tenute agrarie nell’area di Cese. Se questa stessa area appartenesse al tempo agli Equi o ai Marsi non è definibile con certezza. L’ipotesi del professor Giuseppe Grossi è che il confine fra i Marsi ed Equi corresse “fra San Sebastiano e Scurcola-Cappelle, con gli Equi a nord-ovest ed il Marsi a sud-est del corso dell’Imele con i centri fortificati di Monte S. Felice, Cimarani e Rotella di Collalto”. L’abitato di Cese non esisteva al tempo, ma esistevano certamente i citati centri fortificati sui monti tra Cese ed Avezzano; centri di origine safina, poi in territorio marso. Questa parte dei piani palentini, al tempo sicuramente più boscosa, era probabilmente un’area di confine tra i due popoli “fratelli” (tant’è vero che non c’è traccia di guerre tra di loro), accomunati dalla stessa antica radice.
È il periodo paleo-italico (IX-VI secolo a.C.), quello in cui viene fuori l’identità di quella che lo scrivente ha chiamato “cultura fucense”, di cui sono piena espressione le successive popolazioni storiche dei Marsi ed Aequi in precedenza definibili Fougni (Fucensi). L’elemento dominante dell’economia dell’area fucense, oltre alla metallurgia, era la pratica della guerra e del mercenariato, associate ad una modesta attività agricola e pastorale. […]
A partire dall’VIII secolo a.C. queste genti si spinsero quindi dai Piani Palentini verso la valle dell’Imele, la valle del Turano (Carseolano) e la valle dell’Aniene raggiungendo nella seconda metà del VI secolo a.C. le vicinanze di Roma sui Colli Albani, nello sbocco tiburtino e reatino. […]. Sul finire del VI secolo a.C. ed inizi del successivo, in ambiti geografici e culturali omogenei, a causa di accordi o ampliamenti territoriali dovuti a conquiste militari, nascono i numerosi stati oligarchici repubblicani storici (i nomina safini) come quelli dei Marsi ed Aequi. Stati federali composti di tante toutas (“comunità” = civitas in Latino), corrispondenti a numerosi centri fortificati non più dominati dalle figure dei re, ma da magistrati pubblici supremi (meddices tudici) scelti fra i maggiorenti italici locali (nerf = “principi”) (Letta 1994a). […] Come per gli Ernici, la sede federale era il santuario nazionale del nomen: non sappiamo quello degli Equi, ma per i Marsi si può pensare al santuario d’Angitia posto nell’interno della città marsa di Anxa (Luco dei Marsi).
Nell’ambito dei confini settentrionali dello stato dei Marsi era inserito il territorio di Avezzano: le montagne della catena di Salviano (ex “Castelluccio”), Monte Aria (ex “Monte Arrio”), Cimarani (ex “Montagna Grande”), Monte S. Felice sopra Cappelle, Peschio Cervaro e Monte Uomo sopra Paterno, erano probabilmente in mano marsa, mentre la collina di Albe con Antrosano e Cappelle era in mano equa; il confine doveva quindi essere costituito dal piano di Cesolino e il medievale Rivo Foraneo, l’attuale fossato di Valle Solecara che scende da Forme e Capo La Maina. Ma la presenza marsa doveva spingersi sui Piani Palentini fino a Corcumello e nell’alta Valle del Liri, la Valle di Nerfa, fino al diaframma di Cappadocia e Petrella Liri che separa le sorgenti del Liri da quelle dell’Imele. […] Superato il Monte Arunzo, sui Piani Palentini, il confine fra i Marsi ed Equi doveva correre fra S. Sebastiano e Scurcola-Cappelle con gli Equi a nord-ovest ed il Marsi a sud-est del corso dell’Imele con i centri fortificati di Monte S. Felice, Cimarani e Rotella di Collalto. […]
Sul settore equo della Marsica l’avanzata romana si fa più incisiva dal 304 a.C. quando, con una campagna di soli 50 giorni, il console romano Publius Sempronius Sophus prese ben 31 oppida (=ocres) equi che furono, nella maggior parte, abbattuti ed incendiati («e il popolo degli Equi fu quasi completamente sterminato. Si celebrò il trionfo sugli Equi») (Livio, IX, 45, 17-18). La sconfitta fu un salasso terribile per gli Equi del settore abruzzese con la presenza ormai costante di truppe romane nel cuore del proprio territorio e la creazione, da parte di Roma, della colonia militare di Alba Fucens nel 303 a.C. con l’invio di ben 6.000 coloni a presidiarla («L’anno in cui furono consoli Lucio Genucio e Servio Cornelio si ebbe in fatto di guerre esterne una tregua quasi generale. Si stanziarono colonie a Sora e ad Alba. Ad Alba, nel territorio degli Equi, furono inviati seimila coloni: Sora faceva parte del territorio dei Volsci, ma era stata occupata da Sanniti; vi furono stanziati quattromila uomini») (Livio, X, 1, 3). Con l’arrivo dei coloni, l’ex territorio palentino degli Equi fu acquisito, come preda di guerra, dai coloni di Alba Fucens.
La nuova fondazione coloniale romana nella sede originaria del loro territorio fu duramente avversata dagli Equi sopravvissuti che, nello stesso anno, tentarono disperatamente di riprendere il possesso delle colline albensi, ma furono respinti dai nuovi coloni romani. Questo disperato tentativo mise in serio allarme Roma che non si aspettava, dopo lo sterminio del 304 a.C., una nuova rivolta equa. Prontamente il senato romano nominò il dittatore Caio Giunio Bubulco che, insieme al maestro di cavalleria Marco Titinio, con una campagna di soli otto giorni, sul finire del 303 a.C., sottomise nuovamente gli Equi (Livio, X, 1, 7-9). […]
La resistenza equa e la nuova offensiva marsa preoccuparono seriamente Roma che affidò ai dittatori M. Valerio Massimo e C. Giunio Bubulco la definitiva “pacificazione” del territorio equo ed il contenimento delle nuove offensive marse. […] Valerio Massimo nel corso del 302 a.C., dopo aver sloggiato i Marsi dal territorio carseolano si diresse rapidamente verso il Fucino dove conquisto tre città fortificate marse (Plestinia a “Roccavecchia” di Pescina e Milonia a “Rivoli” d’Ortona dei Marsi e, forse, nella Vallelonga, Fresilia a “Monte Annamunna” di Collelongo?), tolse una parte del territorio ai Marsi e concesse agli stessi il trattato di pace con Roma.
Tra il 91 e l’88 a.C. i Marsi saranno i principali ispiratori, con Peligni e Piceni, della grande coalizione di popoli italici che scatenerà la Guerra Sociale, detta anche “Bellum marsicum”, per la concessione della cittadinanza romana. Non tanto una guerra contro Roma, quanto una guerra per diventare romani ed acquisire i relativi privilegi. Al tempo, i Marsi erano alleati di Roma (e come tali erano tenuti a garantire un certo numero di truppe nelle campagne belliche), mentre gli Equi erano stati di fatto inglobati nella popolazione romana.
[1] Va interpretata anche in tale ottica la centralità della figura femminile all’interno della società fucense. “Oltre a essere dedite all’arte della filatura, le donne fucensi e poi quelle marso-eque, mostrano evidenti segni di potere all’interno della comunità: non a caso, la divinità principale dell’ethnos marso-equo è una donna, una dea-maga, Angizia, che presiede a tutte le sfere dell’umano locale” (G.Grossi). Ne è testimonianza il posizionamento di una donna anziana, memoria storica fondamentale all’interno di popoli caratterizzati da esclusiva cultura orale, proprio al centro dei tumuli familiari fucensi.
<Testo rielaborato da G. Grossi, “Le origini di Avezzano” ed arricchito da colloquio con l’Autore>






