[Storia delle Cese n.14]
da Giuseppe Grossi
Nel territorio di Avezzano esistevano, al tempo dei popoli italici marsicani, diversi abitati fortificati, concentrati soprattutto sulle alture dominanti le piane e le valli in modo da controllare e difendere il territorio agricolo e di pascolo della comunità locale. Di questi centri fortificati della prima età del ferro, “ocres” in lingua safina locale (“oppida” e “castella” in Latino), abbiamo ancora oggi piccole testimonianze anche sulla catena del Salviano, che ospitava al tempo cinque centri. Il primo è posto sulla sommità detta “Colle degli Stabbi”, nelle vicinanze del confine con Luco dei Marsi (“Cunicella”). Il secondo, sovrastante il Cimitero di Avezzano, è identificabile sulla quota 985 detta “Castelluccio” di Salviano. Il terzo è riconoscibile sull’altura di Monte Cimarani, ex “Cima Grande”, a quota 1.108 ora occupata dai ripetitori televisivi. Presenta due fasi d’impianto che racchiudono un’area totale di circa 4,5 ettari: una prima, più antica a forma ovoidale perfetta ed una seconda con forma poligonale irregolare. Il quarto è situato sulla quota 1.017 detta “Colle di S. Silvestro”, sul versante orientale del Monte Cimarani ai margini della medievale «Valle Pandulfa». Il nome di S. Silvestro («Colletto con la chiesa di S. Silvestro») è dato dalla presenza qui nel medioevo di un piccolo insediamento, dotato di chiesetta, dipendente dal feudo di Pietraquaria. Il suo toponimo appare negli Statuti trecenteschi di Avezzano col nome di «(montem) beatum Silvestrum».
Il quinto è ben riconoscibile sull’altura di Monte S. Felice, quota 1.030 che sovrasta la Stazione Ferroviaria di Cappelle. La sommità è ora erroneamente detta di San Felice[1], ma in passato era denominata “Cima di S. Giovanni d’Alezzo” o “di Alizio”. Qui si riconoscono i resti di tre cinte murarie, dotate di cinque porte “a corridoio interno obliquo”, e di due terrazzi interni con superficie occupata di 2,6 ettari. Il numero delle recinzioni difensive presuppone uno sviluppo cronologico del centro fortificato, dal primitivo nucleo ovoidale sommitale dell’età del Ferro alle altre due cinte delle epoche successive fino all’abbandono della fine del IV secolo con la probabile conquista romana. I ritrovamenti ceramici e la numerosa presenza di tegolame sui terrazzi interni documentano l’esistenza dell’abitato interno dalla prima età del Ferro all’età ellenistica. Il ritrovamento di un contenitore plumbeo con missili per fionda dello stesso metallo nell’interno, sono prova di una riutilizzazione dell’acropoli del centro da parte degli insorti italici durante il conflitto del Bellum Marsicum degli inizi del I secolo a.C. Nel medioevo, sulla sommità della prima recinzione, fu realizzata, probabilmente su un precedente terrazzo cultuale italico, la chiesa di Sancti Iohannis de Alitio, appartenente, forse, al feudo di Pietraquaria e di cui rimangono le sole fondazioni che disegnano la pianta di una struttura a tre piccole corte navate con abside centrale e vicina cisterna circolare esterna[2]. A partire dalla recinzione più esterna del centro fortificato prendevano vita due sentieri che si incrociavano nei pressi di una sorgente detta “di Santa Barbara”, collocata ad una quota di 998 metri sul livello del mare, la quale costituiva il più vicino luogo di rifornimento di acqua del centro fortificato.
L’area deteneva un elevato valore strategico anche in considerazione della suddivisione del territorio tra il popolo dei Marsi e quello degli Equi. Sui Piani Palentini, infatti, il confine fra Marsi ed Equi doveva correre fra S. Sebastiano e Scurcola-Cappelle, con gli Equi a nord-ovest ed i Marsi a sud-est del corso dell’Imele con i centri fortificati di Monte San Felice, Cimarani e Rotella di Collalto. «Il permanere degli insediamenti fortificati anche nel sistema repubblicano safino documenta il reale stato di conflitto fra Marsi ed Equi per la definizione degli spazi territoriali delle due comunità, soprattutto sulle linee di confine».
[1] Il nome si deve ad un curioso errore commesso sul finire dell’Ottocento dai redattori piemontesi delle carte topografiche dell’Istituto Geografico Militare. Infatti, scendendo dal monte San Felice lungo un modesto sentiero, è possibile raggiungere il monte Castello (in passato detto “Monticello”), che si trova nel territorio di Cappelle dei Marsi; ebbene, tale monte era occupato sulla sommità da una chiesa intitolata a “San Felice in Monticello”, citata nelle bolle papali di Pasquale II e Clemente III del XII secolo, nonché su alcuni documenti della Diocesi dei Marsi del XIV secolo. I redattori piemontesi compirono lo sbaglio di collocare la chiesa citata non sulla cima del colle di Cappelle, ma sulla vetta del monte di Cese, che dunque ha erroneamente ereditato il suo nome da questo edificio religioso che non gli è mai appartenuto. (Emanuele Cipollone, “La Voce delle Cese” numero 6 – 29 ottobre 2006)
[2] La cisterna oggi osservabile è plausibilmente da riferire alla riutilizzazione medievale di un’antica cisterna italica (ndr). D’altra parte sono molteplici le innovazioni riferibili all’insediamento cristiano medioevale. Non è infatti da escludere che, in quanto località di eremitaggio, si fosse cercato di adattare il terreno circostante all’esercizio di una piccola attività agricola, creando terrazzamenti per la coltivazione di beni di prima necessità. Da alcuni tratti della pavimentazione ivi ancora esistente si evince che il complesso, nel periodo medievale, aveva appunto assunto una propria struttura economica per il trasporto, anche breve sul solo sito circostante, delle derrate ad oggetti con carri che hanno lasciato sulla pietra basolata inconfutabili segni del loro passaggio (Mario Di Domenico, “Cese sui piani palentini”, 1993)
<Rielaborato da G.Grossi, “Insediamenti fortificati italici e medievali nel territorio di Scurcola” in Scurcola Marsicana monumenta, 2006>











Una replica a “Le antiche fortezze di montagna”
Mi piace che di parli di “sorgente di santa Barbara” e non “di san Barnaba”. Ciò toglie ogni dubbio sul nome della località. Nessuna polemica….solo chiarezza storica.