Sul nome delle Cese

[Storia delle Cese n.9]
da Mario Di Domenico

Per comodità del lettore è sembrato opportuno trascrivere le tesi sulle origini di Cese formulate dai maggiori autori di storie locali marsicane. In primis quella del Febonio, al quale senza dubbio e con doveroso rispetto porgiamo la corona agonale, poi Antinori, Corsignani e Di Pietro.

Tesi del Febonio: “Proprio dal taglio degli alberi delle selve venne il nome di Cese, sito olte il Monte Salviano, a duemila passi da Avezzano, nei campi palentini, presso il torrente Rafia. Prima della caduta dell’impero romano quel sito, non molto distante dalla antica via Valeria, era coperto da una folta selva – l’autore intende la selva di Agnano o Angizia, il cui asse maggiore aveva ancora ai suoi tempi, la lunghezza di settemila passi, da Luco dei Marsi a Cappelle – popolata da numerose e feroci fiere. Era perciò dai signori romani, molto frequentata per il divertimento della caccia, tanto che questi vi fabbricarono stabili ville, vicino ad un casino presso le grottelle. In questo luogo sbocca il canale scavato nelle viscere del monte Girifalco, tra Capistrello e Corcumello, il quale incanalava l’acqua della sorgente Riosonno, traversando il fiume Liri a mezzo di un ponte canale. La galleria ha una lunghezza di oltre 500 passi, alta 9 palmi e larga 5 palmi”[1].

Tesi dell’Antinori: nella sua monumentale opera non aggiunge sostanzialmente nulla alla tesi feboniana. Specifica soltanto la lunghezza del canale Arunzo: “che ora si vede fabbricato per la lunghezza di oltre mezzo miglio”[2].

Tesi del Corsignani: “Erano pur situate vicino à sudetti campi di Palenta alcune castella ora distrutte, che ebbono il nome delle grottelle di S. Gregorio, della Prece, del Colle S. Pietro e di altri vocaboli menzionati nella feboniana. Non tutte però restano disfatte perché tra le altre, vi abbiamo la terra delle Cese, lungo il fiume Rafo ambedue rinomate o per dir meglio antiche; mentre la prima cosi detta dalla successione de’ soldati del re Corradino nella riferita zuffa quivi d’intorno accaduta”[3].

Tesi del Di Pietro: “In quel luogo non lontano dalla via Valeria, i signori romani avevano costruito le case analoghe per divertirsi alla caccia nel folto bosco angizio posto al confine. Anzi quei stessi signori per non mancare di acqua limpida, avevano fatto scavare il canale di palmi nove, largo palmi cinque e lungo circa passi 500 che prendeva le acque del fiume Liri, e le portava ad irrigare quelle fertili pianure. Dunque piuttosto il nome di Cese deve derivarsi dallo sterpamento del bosco “angizio” in quella parte atta alla coltura; sterpamento che ai tempi di Claudio dové darsi per i legni necessari alla grande opera e per il mantenimento di quella moltitudine riunita; sterpamento che ebbe il nome di Cesano ed in conseguenza le genti che scelsero in seguito quel domicilio, fu detto che abitassero nelle Cese.
Qualora poi – riferendosi al Corsignani – il nome di Cese dovesse derivarsi dalla uccisione in quelle contrade, nemmeno deve pensarsi a quelle fatte nella guerra con Corradino eseguita vicino la Scurcola ma piuttosto deve risalirsi alla guerra sociale nella quale avvennero molti fatti di armi in quelle vicinanze. La denominazione di Campo maggiore rimasta ad una contrada, i depositi di due consoli uccisi e seppelliti nel tenimento di Cese, attestano le grandi stragi colà avvenute e specialmente quella del console Rutilio riferita da Ovidio”
[4].

Matrice di derivazione unica delle posizioni successive (Pagani, Piccirilli, Colantoni, Di Marzio) è la tesi formulata dal Febonio, quantunque sia Di Pietro ma soprattutto Corsignani propendono per soluzioni diverse. Quest’ultimo immagina infatti nel nominativo “Cese” l’accostamento linguistico con l’eccidio della battaglia tra i soldati di Corradino di Svevia e le truppe del francese Carlo d’Angiò (“Cese” dal latino “caesare”, iterativo di “caedere”, quindi “tagliare”), ipotizzando una immaginaria equivalenza tra l’azione compiuta dal contadino che falcia l’erba con quella più tragica della guerra che falcia gli uomini. Ma Di Pietro riferisce di aver letto sopra il muro dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria la data 1213. La stessa l’ha notata nel 1909 il Piccirilli. Dal che si evince chiaramente che prima ancora del 1268, anno della battaglia dei Piani Palentini, Cese già esisteva con tale nome.
Di Pietro, non respingendo del tutto l’accostamento linguistico del nome “Cese” con la falcidia umana, trasferisce in un’epoca più remota (al tempo della guerra sociale, 91 a.C.), le “nominali” vicende belliche. Ma né Carlo D’Angiò né i romani pensarono mai di nominare nei campi Palentini teatro di spietate uccisioni, un villaggio commemorativo dell’eccidio. Le conseguenze delle battaglie furono infatti molto più pietose.

In definitiva, quella del Febonio è la più affidabile tra le posizioni teoriche esaminate. Il messaggio da lui lanciato di una iniziale “romanizzazione” di questi luoghi è forse il più adeguato alla realtà storica.

<Testo rielaborato da M. Di Domenico, “Cese sui piani palentini”, 1993>


[1] M. Febonio, “Historiae Marsorum”, lib. III, cap. IV (1678).
[2] L.A. Antinori, “Corografia”, vol. 29, tm. III (1784).
[3] P.A. Corsignani, “Reggia Marsicana” (1738).
[4] A. Di Pietro, “Agglomerazioni delle popolazioni attuali della Diocesi dei Marsi” (1869).

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