Anni ’50, il Natale

[Storia delle Cese n.6]
da Osvaldo Cipollone

Sessanta/settanta anni fa, in paese, i giorni che precedevano l’atteso evento della natività erano ricchi di impegni, soprattutto per la preparazione dei dolci: “ferratèlle”, “croccante” e “copèta” preparati in casa, e poi ciambelle, biscotti e pane da cuocere al forno pubblico. Durante la giornata del 24, poi, la scelta del ciocco ed il frazionamento della legna per la sera coinvolgevano capifamiglia e ragazzi. Prima che tutti si recassero al “vespro” della sera, le donne avevano già preparato contorni, pastelle, fritti di baccalà o di broccoli, oltre a quelli – dolci – di latte.  

Finita la liturgia, i grandi trepidavano per la suntuosa cena che li attendeva e respiravano la serenità di ritrovarsi con i parenti più prossimi. I ragazzi, magari orgogliosi per aver realizzato il presepe con i personaggi di gesso posti sul morbido muschio, erano in ansia e trepidazione per la declamazione della poesia di Natale e la lettura delle letterine composte a scuola. In quei brevi, ma intensi momenti i loro volti avevano spesso il pallore dell’emozione. La tradizione della ricorrenza trasmetteva infatti tanto calore, accresciuto dalle sollecitazioni della “platea” più che dal grosso ceppo che sprizzava faville al pari di festose stelline.

La cena di Natale, così come quella di Capodanno, non era certamente una cena normale, sia per l’abbondanza che per la varietà del menù, nel quale erano d’obbligo gli spaghetti al tonno, così come lo stoccafisso – in umido o in bianco – e, se possibile, l’anguilla fritta. I contorni erano solitamente a base di legumi, rape “soffocate”, broccoli con alici ed altri prodotti della casa. Abbondava la frutta, specialmente quella secca o appassita: sorbe, uva, cotogne, mele, pere e poi mandorle e noci; per chiudere, ferratelle, coperchiate, amaretti, biscotti e ciambelle. Per gli adulti il re della serata era il giovane cerasuolo che sprizzava stille di allegria dalle tipiche “bbocalétte” (le caraffe smaltate e dipinte a fiori). Il novello frizzantino si tuffava nei bicchieri regalando agli animi una gaiezza che andava ad accrescere quella data già dall’atmosfera di festa. Il ciocco continuava ad illuminare la nera fuliggine della cappa, disegnando sul cupo sfondo come fiammelle che correvano giocose.

In quasi tutte le famiglie era costume “recitare” il rosario prima di intrattenersi a giocare a tombola. Il caminetto regalava un calore modesto a confronto di quello che univa le persone. Soprattutto nelle abitazioni dove c’erano i nonni o gli anziani, si respiravano affetto ed unità. I sentimenti religiosi così intensamente trasmessi apparivano rinsaldati dagli auguri e dai saluti che ci si scambiava prima e dopo ogni messa.

Già, perché anche se poco coperti e tremolanti, tutti si recavano in chiesa. La nascita del Bambinello veniva salutata dal “Gloria” e dalle campane a distesa. Gli occhi ed i cuori s’intenerivano e l’euforia accompagnava “Tu scendi dalle stelle”. Allora anche il freddo sembrava meno rigido e l’aria pareva più calma. Nuovi auguri rincuoravano i più temerari che, vestiti in modo inappropriato, sfidavano la lunga notte alimentando il tipico “focaraccio” all’aperto. La serata regalava un calore diverso agli innamorati che sostavano brevemente fuori la porta della “quatrana”. Un casto bacio sanciva l’augurio di un buon riposo, quello che accompagnava tutti tra le crespe lenzuola. Il ciocco era ancora lì, a vegliare il focolare in attesa del rientro dei familiari e ad offrire per tutta la notte il proprio tenue calore al Bambinello nato da poco.

Raggomitolati nei loro letti, i ragazzi sognavano già la “ciammèlla” del giorno dopo. Lessata e poi cotta al forno, poteva contenere qualche caramella, dei dolcetti, fichi secchi ed il tipico “pertocallo” (l’arancia). Era quello il regalo preparato da nonne e zie anziane per i piccoli che si recavano nelle loro case a porgere gli auguri.

<Rielaborato da due articoli pubblicati su “La Voce delle Cese” a dicembre 2007 e 2010>

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