[Storia delle Cese n.2]
da Antonella Saragosa
Est apté ornata, et in ara maiori, in qua Sacrata Deiparae Venerabilis Imago collocatur, così Muzio Febonio, nel 1678, dà notizia della presenza di questa straordinaria raffigurazione della Madonna: collocata sull’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria di Cese, in evidente posizione privilegiata, per accogliere fedeli e devoti che, per tre volte nel corso dell’anno, qui si recavano in pellegrinaggio. Prima che il sisma del 1915 distruggesse la parrocchiale di Cese, la tavola si presentava certamente integra, con “l’immagine della Madonna che tiene il bambino in braccio”, ancora visibile sull’altare maggiore, chiusa in una nicchia da una vetrina con ante d’argento (Mancini, 2003), a testimoniare il perdurare della venerazione nel corso dei secoli. Agli albori del Novecento, venne notata dal Piccirilli, che l’attribuì alla scuola umbra, datandola al secolo XV (Piccirilli, 1909). Dopo il terremoto, dalle macerie fu possibile recuperare solo il bel volto aureolato (Di Domenico, 1993), che, in seguito al restauro del 1993, è stato esposto dal Museo d’Arte Sacra nel Castello Piccolomini di Celano, dov’è tuttora collocato.
Il viso della Vergine è avvolto in un manto azzurro, bordato in oro, al di sotto del quale traspare un delicato velo. La mano sicura dell’autore ha reso con perizia la leggerezza dei tessuti, quasi fossero sottilissime e preziose sete. Gli occhi socchiusi e regali guardano verso il basso, certamente volti verso il Figlio, rappresentato nella porzione mancante della pala. Sull’aureola dorata che cinge il capo, delimitata da una doppia cornice decorata con piccole sfere e una linea continua che la solleva dal fondo, è riportata la scritta in maiuscolo “AVE MARIA GRATIA PLENA DOMINUS T (Tecum)”. Del trono resta solo la spalliera a fondo verde con decori floreali impreziosita da gemme, che dovevano avere funzione di rilievo, rispetto alla cornice dorata che le corre intorno.
La storia dell’attribuzione del bel frammento si snoda nell’arco di quasi cinquant’anni. Enzo Carli, che la cita come “quanto di meglio ci sia da osservare, in fatto di pittura del primo Quattrocento, in tutto il territorio abruzzese ad occidente della catena del Gran Sasso” (Carli 1943), la collegò al Maestro di Beffi, leggendovi un chiaro influsso toscano con tendenze seneseggianti, riconducibili all’opera o all’influenza di Taddeo di Bartolo. […] Nel 1987 Ferdinando Bologna attribuì la paternità dell’opera a Andrea Delitio o de Litio, pittore originario di Litium, l’antica Lecce dei Marsi, attivo nella prima metà del XV secolo. Il problema dell’attività giovanile e del clima culturale che avevano formato l’artista, indagata da Bologna dal 1950, venne ripreso nel saggio “La Madonna di Cese e il problema degli esordi di Andrea Delitio”, edito in occasione della mostra “Architettura e Arte nella Marsica”, nel 1987. Ripercorrendo la carriera artistica del maestro, il critico arriva a concludere che “si tratti di un’opera autografa del più affascinante pittore abruzzese del Quattrocento, Andrea Delitio, e con ogni probabilità ne rappresenti il momento cronologicamente e culturalmente più antico finora individuato”. A sostegno della tesi, Bologna cita il confronto con “qualsiasi altra figura analoga realizzata dal maestro” nel corso della propria attività. La datazione dell’opera viene fissata intorno all’anno 1439, dunque precedente al 1442, quando il pittore, che già godeva dell’appellativo di magister, mostrando di essere una “persona pittorica già ben distinguibile”, collabora, insieme alla cerchia del Maestro di San Silvestro a Beffi, alla realizzazione degli affreschi della Cattedrale di Celano, nella cui navatella dipinge la vela della Madonna col Bambino, dove è possibile notare una stretta somiglianza con la Madonna di Cese. Conforme anche l’influsso stilistico che permea le due opere: gli stilemi della cultura tardogotica al tramonto, mediati dalle istanze del primo Rinascimento fiorentino (Bologna 1987).
Immutata nei secoli, l’espressione dolce e altera, riflessiva e quasi distaccata di questa Vergine “sofisticata”, che per secoli ha ascoltato e forse esaudito la preghiere dei fedeli, continua ad emozionarci ispirando sentimenti che vanno oltre la devozione.
<Tratto dal calendario “Dalla Terra al Cielo. La bellezza tra Sacro e Profano”, Associazione Culturale Antiqua, 2013>





